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2. Vie per le quali la cultura italiana penetra in Rumania.

Nel secolo XVII, e, più ancora, nel seguente, la cultura italiana penetrò in Rumania per vie molteplici:

a) dalla Polonia, dove il Rinascimento italiano, emigrato non solo idealmente, ma anche, direi, materialmente coi numerosi italiani, che, intorno a quel tempo, vissero in Polonia, dette origine a tutto un movimento, che non fu senza influenza sulla cultura rumena contemporanea;

b) dalla Grecia, per mezzo delle numerose traduzioni in greco dei nostri scrittori più noti, quando, sotto i Fanarioti, il greco fu considerato in Rumania come la lingua letteraria per eccellenza;

c) da Venezia, dove appunto la maggior parte di quelle traduzioni videro la luce; si stamparono, per conto di varii Voda, i primi libri liturgici in antico slavone (onde le iscrizioni funerarie rumene del tempo ci mostran nella forma tondeggiante delle slove l’influsso dei caratteri veneziani del Rinascimento);

    Torino, 1865, p. 306) ad una „storia intiera e magnifica e peculiare all’Italia” che „sarebbe a fare degli Italiani fuor d’Italia”, poi che „tutte le nazioni senza dubbio ebbero fuorusciti volontarii o no; ma niuna così numerosi e così grandi come la nostra”. Eppure, malgrado il Balbo mostri di ritenere che questo suo desiderio fosse stato in parte esaudito dal Ricotti, una tale storia— che sarebbe il miglior monumento da innalzare a quel „mirabile ingegno italiano”, di cui il Balbo medesimo dice, che, „chiusagli una via, ne sa trovar altre e altre infinite;...chiusagli la patria ad operare, opera fuori, cerca, trova altri campi in tutti i paesi in tutte le culture”; — una tale storia, dico, non esiste ancora, onde, più recentemente ancora, il Flamini esprimeva, a proposito dell’imitazione straniera della prosa italiana del Rinascimento, un desiderio analogo: „Della fortuna dei nostri prosatori in Ispagna e in Germania è ancora tutta da ricercare e tessere la storia; intorno a quella ch’essi ebbero nell’Olanda fu scritto, ma non compiutamente di fresco. Quando possederemo un’accurata bibliografia delle tante versioni, che in quei paesi si fecero delle cose nostre, si potrà con miglior frutto procedere altresì a un „inventario” dei molti debiti, che il romanzo, la novella, la prosa parenetica e didascalica presso le nazioni civili d’Europa hanno colla letteratura italiana del glorioso cinquecento! Bel campo di studii tuttavia inesplorato, da invogliare a percorrerlo per ogni verso chi abbia inclinazione e attitudine all’indagine comparativa dei fatti letterari!” (Flamini, Il Cinquecento, Milano, Vallardi, 1900, p. 480). Le noterelle che qui raccolgo non han la presunzione di colmare nessun vuoto; ma di contribuire, pur colle minime forze del loro autori’, a che altri possa un giorno giovarsene nell’accingersi all’arduo lavoro.