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A un tratto s’interruppe, la lingua le era rimasta muta nella bocca, |
(Alexandru Vlăhutză, All’icona. Trad. di Ramiro Ortiz).
Frequentatore delle riunioni delle «Convorbiri» e carissimo al Maiorescu fu un altro poeta di cultura preponderantemente tedesca: Gheorghe Cosbuc (1866-1918), che tradusse anche in magnifiche terzine la «Divina Commedia». Come tecnica e colore locale, le liriche del Coșbùc sono talvolta superiori a quelle dello stesso Eminescu, del quale però non raggiunge la profondità di pensiero, «Poeta dei contadini», come gli piaceva chiamarsi, il Coșbuc ne cantò non solo le aspirazioni materiali al possesso della terra, nella poesia intitolata «Noi vrem pământ» (Noi vogliam la terra), ma gli usi, i costumi e le leggende con una delicatezza di tocchi che ricorda i delicati e armoniosi colori dei ricami e dei tappeti popolari, raggiungendo in due de’ suoi poemetti: «Nunta Zamfirei» (Le nozze di Zanfira) e «Moartea lui Fulger» (La morte di Fulger) una tale perfezione di ispirazione e di forma da farne due veri capolavori del genere epico-lirico, in cui soprattutto eccelle, animati da una filosofia, ch’è poi quella del contadino romeno, ma passata attraverso una mente che ha saputo darle l’espressione teorica, per cui conclude che bisogna accettare il dolore e la morte senza inutile piagnistei, con rasse-