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ma non più come una volta discende |
(Trad. di Ramiro Ortiz, op. cit.).
La poesia di Eminescu è difficile ad analizzare. Appunto perchè grande e originale, non si presta ad essere costretta in nessuna delle comode caselle di certa critica. Eminescu ha bisogno di un’anima di critico-poeta che ne riecheggi e ricrei la poesia infinitamente dolce e suggestiva, delicata, aerea, il cui fascino consiste più nei sentimenti che suggerisce il verso incredibilmente armonioso e musicale, che in quello che realmente dice. Solo un De Sanctis o un Renato Serra (più forse un Renato Serra che un De Sanctis, essendo questioni di strappargli il segreto tecnico di quella sua musicalità suggestiva) avrebbero potuto provarcisi. In genere, si parla troppo dell’Eminescu filosofo, e si trascura l’Eminescu puro artista, puro poeta. Per me le poesie, nelle quali Eminescu è più Eminescu che altrove son proprio quelle, in cui nessun elemento allotrio entra a turbare il flusso melodioso dell’ispirazione lirica pura, la serenità e la freschezza del paesaggio romeno perfettamente rievocato, per cui a me piace definir Eminescu il «poeta della selva e della polla» e che trova il suo riscontro nella pittura del Grigorescu. La quale è anch’essa difficile a capire da chi in quei toni discreti, in quel paesaggio dolcemente malinconico, visto come attraverso una nebbia o un velo di lagrime, non sappia veder riflesso quel lampo di malinconia discreta, di rassegnazione e d’abbandono confidente che uno straniero vede subito negli occhi di tante donne romene e di tanti vecchi contadini e trova il suo riscontro più significativo nelle note tristi, lente e rassegnate della «dóina» popolare, il dolce canto d’amore di lontananza e di morte, che nessuno può mai dimenticare quando l’ha udito una volta di notte in un ovile di pastori sulle vette boscose che sembra tocchino il cielo, mentre in alto scintillano le stelle e le fonti mormorano soavemente fra lo stormir degli abeti.