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ca, dove la sensualità cessa d’essere un tormento, dove tutto ciò che oscura la mente svanisce come nebbia al sole; si librano nell’infinito azzurro, di dove guardano, in una perfetta pace, l’insensato dibattersi dell’esistenza comune».

Così un critico quasi contemporaneo del poeta: Anghel Demetriescu. La parte umana però del poemetto consiste proprio nel desiderio dell’Astro (cioè del poeta) di umanizzarsi, d’amare umanamente una donna della terra. Ma non può, perchè c’è di mezzo un’intelligenza fatale. Non può, ma si sente infelice di non potere. E qui è la tragedia. Prima che l’Astro s’umanizzi (e umanizzarsi del tutto non potrà mai) la donna preferisce le calde carezze di un uomo di questa terra al freddo abbraccio del Dio tutta intelligenza e spirito, dall’occhio sfavillante di una fiamma che non riscalda; e non sapremmo in verità darle torto. Col suo solito acume il Maiorescu osserva: «Le parole amore felice e infelice non si possono applicare ad Eminescu nella loro accezione consueta. Nessuna individualità muliebre poteva imprigionarlo e trattenerlo nel suo stretto ambito. Come il Leopardi in «Aspasia», Eminescu non vedeva nella donna amata che la copia imperfetta di un prototipo irrealizzabile. L’amasse o non l’amasse questa copia occasionale, non perciò cessava dall’essere una copia, ed egli, con malinconia impersonale, cercava il suo rifugio in un mòdo più adatto per lui, nel mondo del pensiero e della poesia».

Diamo qui alcuni brani dell’«Astro»:


L’ASTRO

C’era una volta come nelle fiabe,
c’era una volta,
di gran progenie d’imperatori
una bellissima fanciulla.

Ed era figlia unica
e bella fra le belle,
com’è la Vergine tra i Santi,
la luna tra le stelle.

Dall’ombra delle volte aurate
muove ella il passo
verso la finestra, dove in un angolo
l’Astro aspetta.