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Capitolo IV.
CONTATTI COLL’OCCIDENTE
Con la seconda metà del secolo XIX, incomincia un periodo nuovo nella storia della letteratura romena, i contatti coll’Occidente (Roma e Parigi) si moltiplicano, e ciò serve a ridestar nelle masse, illuminate dagli scritti degli storici e dei filosofi, la coscienza nazionale. L’unione, avvenuta (1700) col nome di «Biserica Unită» (Chiesa Unita) di parte degli ortodossi di Transilyania colla Chiesa di Roma, permise ad alcuni giovani ecclesiastici rumeni di fare i loro studii nelle Università Cattoliche di Vienna e di Roma, dove, in cospetto della colonna traiana, ascoltaron la voce dell’antica madre di tutti i popoli latini. Avvenne allora che quel senso di romanità che non si era mai spento attraverso i secoli più oscuri del medioevo, e di cui ci fan fede le parole di Innocenzo III in una delle sue lettere a Ioannițiu, imperatore dei Bulgari e dei Valacchi («Populus terrae tuae, qui de Romanorum sanguine se asserit descendisse»); rinforzato dalle opere storiche dei cronisti moldavi, che, come abbiam visto, avevan fatti i loro studi nelle università polacche, allora sotto lo influsso del Rinascimento italiano, diventasse coscienza nazionale, idea direttiva nella cultura romena. Samuil Micu, detto anche tedescamente Klein (1774-1806), Gheorghe Sincai (1753-1816) e Petru Maior (1755-1821), tornati in patria, riprendon la tesi dell’origin romana del popolo romeno già sostenuta da’ cronisti moldavi e combatton le teorie degli storici e filologi tedeschi e ungheresi che negavan la continuità e la persistenza dell’elemento romano sulla riva sinistra del Danubio (la famosa «teoria del Ròsler»), cercando di mostrare con argomenti storici e filologici che anche dopo l’abbandono della Dacia da parte dell’Imperatore Aureliano, un gran numero di Daci romanizzati rimase sulla riva sinistra del Danubio, non potendo ammettersi una deportazione in massa sulla riva destra di tutta una popolazione.