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dalla mia carne, il suo grido vince tutto il rumore del mondo. E son sordo e quasi non odo il suono delle parole della Maestà tua. Per riudir la canzone che un giorno s’udì uscire dalla tomba del muro, mi son fermato un attimo e tutto il sangue in me ha tremato. Non ho più nulla da attendere e tutta all’alba, tra giorno e notte, m’attardo ancora accanto al muro, e il mio sguardo si fissa sempre sullo stesso punto, sperando che la parete s’apra come la tomba di Colui che il terzo giorno risuscitò, e ch’io la vegga uscire — solo luce — così come vi entrò.
(Trad. di Ramiro Ortiz).
Da «La Signorina Anastasia» di G. M. Zamfirescu (1).
Atto III. Quadro VIII - Scena III.
SORCOVA-ANASTASIA.
Anastasia. — Giovanni caro, questa notte è l’ultima (2), l’ultima che passiamo insieme (in fretta, sforzandosi a ridere) perchè mi guardi così? Domani me ne vado con Vulpascìn a casa sua, sua moglie...
Sorcova (come se avesse il capogiro). — Oh!
Anastasia. — O forse uno di noi due muore!
Sorcova (rassicurato). — Ora dici bene.
Anastasia. — Domani non saremo più soli, forse, non ne avremo il tempo, e... meglio ora: dociamoci quel che abbiamo da dirci, e... (gli bacia le mani ripetutamente) facciamo la pace.
Sorcova. — Anastasia!
Anastasia (non può ritener le lagrime e lo abbraccia). — Mi dispiace per te, Giovanni caro! Nonnino! Anima innocente di bambino! Chè ti lascio solo...
Sorcova (piangendo). — Cuoricino del nonno, cuoricino!
Anastasia. — ...chè ti lascio solo, nonnino! Non mi maledire! Non mi maledire domani! Comprendimi e perdonami... (passa rapidamente dal pianto al riso e, volutamente infantile): Ricordi, nonno, quando ero piccina? Mai ho camminato per le vie oblique degli uomini. Sono andata sempre diritto attraverso luoghi incolti, passando per i cortili delle case, scalando i vagoni quando alla barriera eran fermi dei treni merci, — sempre diritto! Una volta trovai un orso sulla mia strada. Uno zingaro lo aveva fatto danzare in una commedia senza velo (3) e tutto il quartiere s’era radunato a sentir le spiritosità svergognate dello zingaro; non avevo per dove passare. Gridai: «Fa’ scansar quella bestia!». Ma lo zingaro rise: «Passa, se puoi!». Si beffava di me. Digrignai i denti al punto che ne sono uscite scintille che
- ↑ M. Zamfirescu, Domnișoara Nastasia, comedie tragica in trei acte. București, Ed. «Societalea autorilor dramatici români», 1928 (No. 3).
- ↑ La protagonista si suicida il giorno stesso delle sue nozze con Vulpascin (un tipaccio della periferia di Bucarest, violento e accoltellatore ma innamorato pazzamente di Anastasia) per vendicarsi di lui che sospetta esser l’uccisore del suo promesso sposo, col dolore immenso che proverà per la sua morte.
- ↑ Quando gli attori popolari stan per recitare una commedia di burattini, domandano al pubblico come desiderano che parlino: «col velo» o «senza velo». Secondo la risposta si astengono o no dal turpiloquio.