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Io son suo figlio e lo conduco per mano dovunque; |
(Dal volume «Antologia poefilor de azi» di Pillat e Perpessicius. Bucarest. 1925. Trad. di Ramiro Ortiz).
Ion Barbu è il più recente dei poeti romeni, quello che rappresenta l’ultima fase della poesia «modernista». Ha cominciato con delle poesie geologiche di sapore un po’ parnassiano, ma presto è passato a un genere del tutto diverso, attirato da quanto c’è di intimamente armonico e di musicalmente illogico in certe filastrocche popolari ch’egli ha saputo piegare alle più raffinate forme della poesia moderna. In altre poesie ha dato un tuffo nell’esotismo nordico («Riga Cripto e lappona Enighél») ed orientale («Nostratin Hògea»). Recentemente ( «Gioco secondo»), si è chiuso in un ermetismo matematico (il Barbu è assistente alla cattedra di geometria proiettiva) difficilissimo a interpretare da chi non abbia le cognizioni scientifiche necessarie. Diamo qui un saggio dei tre periodi poetici del Barbu, traducendo «Panteismo», «Il pavone», «Riga Cripto e Lappona Enighél» e «Uvedenrode»:
PANTEISMO
di Ion Barbu
Andremo verso la calda Cibele impudica, |