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Vecchio e cieco, ti si fa innanzi
un povero sorriso d’altra volta
in un costume scolorito...
Ma la notte è venuta, ed ecco

che i brividi stanchi si spezzano,
e sul loro sepolcro aereo
gli specchi azzurri piangono
con lagrime grandi di oscurità...

(Trad. di Ramiro Ortiz).


Seguace da principio del Balthasar, poi conquistato da un gioco tra dadaista ed ermetico di immagini rare fine a se stesse, Ilarie Voronca può definirsi il più immaginifico dei poeti romeni. Dotato di una solida cultura, anche italiana, l’ho udito recitare una volta — ad una festa scolastica — un sonetto rinterzato della «Vita Nuova» con un’aria talmente estatica, trasognata e funerea (si trattava di quello che comincia: «Morte villana, di pietà nimica») che non l’ho più potuto dimenticare. Chi m’avesse allora detto che quel giovinetto pallido sarebbe stato uno dei più «modernisti» poeti romeni?

Cito qualche verso dal «Braccialetto della Notte»:

Un’ellera di pace s’arrampica sui colonnati dell’ombra,
i ruscelli respirano colle collane calcaree delle campane,
i ruscelli passano come luci attraverso il vetro del canto,
e il pianto vibra nella conchiglia della strada dalle scarpe di neve.

E credo che possa bastare. Ma non sempre Voronca è così ermetico. Alcuni suoi versi (mi par di veder l’ironia buona del suo sorriso) possiamo capirli anche noi, miseri mortali:

Quando gli occhi esplodono in lontananza come obici,
quando gli occhi fanno sterminio della terra delle guance,
e il piombo del miracolo fora l’orecchio dell’udito,
allora tu mi rinfreschi nella sorgente della spalla la testa in fiamme,
e la vita sbrana coi denti la carne di un garofano,
allora tu sei la promessa e forse sei la risposta.

Di Lucian Blaga, poeta e filosofo, citeremo «Crepuscolo autunnale» e altre due poesie: «Aratri» e «Il cieco»:


CREPUSCOLO AUTUNNALE

di Lucian Blaga

Dalla cima delle montagne il crepuscolo soffia
con labbra rosse