sbadigliare, dormire e sognare,
disteso su d’un antico tappeto di ”Ghiordez”,
su cui talvolta viene a stendersi
anche la mia bionda Scherazade?...
Fo quel che ho fatto ieri e sempre:
m’accapiglio col vento e litigo colla luna...
Di tanto in tanto salgo sulle colline verso il Sole
e m’integro nel suo globo ardente.
O antica ed unica festa,
che festeggio ormai da quarantanni...
Coll’Olt però non parlo più,
perchè è monotono e di mente ristretta,
nè sa far altro che scorrer verso Dragasciani.
Fo il Narciso al fonte,
bacio la Madonna del tabernacolo,
e conduco per mano San Pietro al cimitero.
Leggo Jules Laforgue
e Arthur Rimbaut,
ma, se m’imbatto nel signor Nizza,
maestro,
bettoliere
e deputato,
m’inchino umilmente al profeta del villaggio,
gli sputo in faccia
e gli grido: «Ohibò!».
E così vendico Laforgue e Rimbaut.
Poi, quando si fa notte e silenzio,
e i buoi dormono sulla pancia
e gli uomini sulle reni,
mi stritolo in frammenti di pietre preziose
e mi do a digerire ai porci».
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Ma non bisogna giudicar Minulescu dalle sue «boutades» e dai versi che scrive nelle sue ore di disgusto: in fondo egli è un «enfant terrible» che ha i suoi momenti di dolce malinconia e di abbandono. Le sue poesie bisogna sentirle recitar da lui ed allora si vede come una quantità di note patetiche, che potrebber sembrare stridenti ed ironiche, in realtà non sian tali, giacché questo poeta che posa a cinico può anche commuoversi davanti a due vecchietti, che avanzan tra la pioggia tenendosi per mano, come nel finale di «Acquarello»:
Nella città in cui piove cinque volte in una settimana,
un vecchio e una vecchia
— due giocattoli rotti —
camminano tenendosi per mano...
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