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— Sembra che non romoreggi solo il mare; sembra che orlino tolti gli oceani!
Ci son momenti in cui essendo soli a faccia a faccia colla Natura, ci si sente più grandi di lei, perchè ci è stata data la forza di dominarla col pensiero. E una soddisfazione vanitosa ci rivela nomini.
Al contrario, altre volte il mondo che ti circonda è di tal forza, che ti senti annientare in esso. Vorresti resistere, ma la lotta ti sembra così ineguale e la fine così irrevocabile, che tu stesso vorresti affrettarla. E sembra che andresti incontro alla morte e alla natura con un senso di sollievo e di purificazione.
Le acque chiamavano a sè le due ragazze e tutte e due avevan capito che l’agilarsi dei flutti abbreviava loro la strada. Ma per civetteria si fecero raggiungere. Allora i flutti cominciarono a spruzzarle.
— I miei piedi sono bagnati.
— Anche i miei.
— Che facciamo?
— Restiamo ferme.
Un flutto baciò Anna, un altro Irene.
— Così non saremo gelose.
E, quando tutto sembrò solo rumore e buio, un rettangolo luminoso si mostrò lontano, davanti a loro, e, incluso in esso, il profilo nero del Collezionario di pietre preziose non avrebbe potuto rivelare se il Maestro guardava le nebbie o volgeva le spalle alle ragazze, che avanzaron verso la luce come uomini volgari contenti di rimandare ad altro tempo la «Redenzione».
— Qui son le pietre, per cui avete fatto una strada così lunga.
Nel vano di una gran porta, bianca, il Maestro attendeva.
Lui e la porta recidevano quel mondo in due parti: lontano, la terra colla casa solitaria, in cui la vita di quei pochi eremiti reclamava soddisfazione a tutti i suoi bisogni; dall’altra, una lunga serie di scalini bianchi mostrava la strada verso il Tesoro, nel cui dominio la parola «fisiologia» avrebbe avuto il suono di una campana nel vuoto.
Irene colle palpebre abbassate osservava che le sue scarpe lasciavan impronte d’acqua sull’agata della scala per cui si scendeva.
— Non fa nulla — sorrise il Maestro — - è inalterabile.
Ad Anna parve di sognare e s’arrestò davanti a due svelte colonne: una verde attraversata da strisce distinte, diversamente colorate; l’altra rossa, del colore di una ciliegia matura.
— Due rimarcabili pezzi d’onice e di cornalina — spiegò il Maestro.
— Potete avvicinarvi. Formano due tratti d’unione tra questo pavimento di crisolito e il soffitto di zaffirina, tutti e due parenti mineralogici fra loro.
Le ragazze alzaron la testa e s’accorsero di non esser più all’aria libera.
— La Natura — continuò il Maestro — ha le sue ironie. Chiude nelle pietre il suo mistero e attende che qualcuno lo scopra. Qualche volta fa anche degli scherzi. Si mostra in apparenze assolutamente diverse, ma in realtà non son che sorelle carnali, figlie della medesima madre. Ma forse questo non v’interessa, è cosa da mineralologi... Che guardate, signorina?
— Quella rosa verde.
— Non è che una copia. L’originale si trovava un tempo in Ispagna.
La nostra è scolpita in un berillo di laboratorio, mentre quella vera fu scolpita in un berillo nato nelle viscere della terra. Lo portò in Europa Fernando Cortez per la sua fidanzata, insieme con altre meraviglie.