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Chirica. — Sì. Da me, all’Archivio, c’è molto silenzio. Quando non ho nulla da fare, mi sprofondo col pensiero tra gli scaffali degli incartamenti e sogno ad occhi aperti. È la mia gioia. Ogni specie di figure e di cose mi passano allora davanti agli occhi...

Nichita. — Ti passano i pensieri davani agli occhi?

Chirica. — Sì. Come ruscelli che s’incontrano e fan serpeggiar l’acqua ciascuno nel proprio letto. E quanto in essa si distingue con maggior chiarezza, o prima o poi accade nella realtà.

Nichita. — Di’ un po’: spiritismo col trespolo ne hai mai fatto?

Chirica. — Ma che ti salta in mente!

Nichita. — E allora come credere a simili schioechezze?

Chirica. — Non sono sciocchezze, son cose provate, fatti che avvengono con precisione matematica. Io ti dico che Faraone II vincerà. Così com’è vero che stai vicino a me, così è vero che vincerà. (S’alza da sedere, seguendo cogli occhi il miraggio). E vincerà per centinaia di lunghezze. Ma che dico centinaia... Questo cavallo...

Varlaam. — Delira!

Chirica. — Non deliro, vedo. Questo animale sfortunato che arriva sempre all’ultimo tra le risa e i fischi degli spettatori, un giorno...

Varlaam (ridendo). — Piantiamola lì. Quel giorno non arriverà mai.

Chirica. — Non te ne intendi.

Varlaam. — Se corre un’altra volta, il tuo Faraone II si fermerà accanto alle baracche, si stenderà a terra e finirà di soffrire per sempre. Credi di aver solo tu delle visioni? (A Nichita): Andiamocene, caro Nichita, qui si comincia a sentir puzzo di carogna.

(Trad. di Ramiro Ortiz).


Da «Il Geranio del davanzale» di Victor Ion Popa (1).

Popa Ilie. — Ti sei presa una bella responsabilità a mettere in capo a quel ragazzo di sposare Olghetta. Ti dico ch’è innamorato cotto. Come al solito non hai pensato affatto alle conseguenze! Ascolti o non ascolti quel che ti dico?

Il Maestro. — Che cosa? (Il popa fa spallucce). Ripeti.

Popa Ilie. — Nessun popa fa sonar la messa due volte per i sordi del villaggio (all’improvviso). Perchè gli hai messo in capo il matrimonio con

  1. Il popa e il Maestro, vecchi amici, scherzano sulla loro rivalità di un tempo, quando tutti e due facevan la corte a Sofietta, ora moglie del maestro. Il popa le aveva regalato una pianta di geranii, ma non aveva saputo agire a tempo e il maestro aveva rapita la ragazza. Ora giocano a carte e rievocano (un po’ per ischerzo un po’ sul serio) quella loro rivalità antica. Il maestro si è messo in capo di far sposare sua figlia Olghetta a Georgica, il figliuolo del popa. Ma il maestro dice che come allora non fu il prete a sposar Sofia malgrado il regalo del vaso di geranii che la fanciulla aveva accettato e conservava ancora dopo maritata, così questa volta non sarà il cantiniere che anche lui ha mandato in regalo ad Olghetta un vaso di geranii quello che la sposerà ma il figlio del popa. La disputa comincia col giuoco delle carte, dove il Re si chiama in romeno Popa ed è, come la «donna», una buona carta. La fortuna ha favorito il maestro con quattro «donne» e tre «popi» mentre il Popa Ilie è rimasto coi soli «fanti», che valgono assai meno.