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Da «Vlaicu-Voda» di Alexandru Davila.

Voda:

Regina, quattro anni sono ormai che la guerra
col regno d’Ungheria finì tra il fulgore
delle cento vittorie riportate in pieno
a Vidin, ad Alba-Mare, in Ardeàl, a Severin,
quando, insieme uniti, quei d’un sangue e d’un sermone
decisero, lottando accanto, d’infrangere il giogo magiaro.
Avevam vinto. Il nemico, messo dovunque in fuga,
padroni ci lasciava delle terre conquistate
e l’inverno, quando è uso che ogni lotta s’interrompa,
speravo veder per sempre la mia conquista affermata,
mentre tu, alla Corte-d’Argeș, in mio nome governavi.
Tutto m’era favorevole. Ed ecco vien l’ora di sventura:
molti de’ miei capitani agli ordini di Nicola
mio fratello, l’abbandonano il giorno stesso della battaglia
con tutte le lor schiere, e ciò per tuo ordine scritto.
Regina, in quel giorno il suo esercito fu battuto, ed egli ucciso!

Clara (impensierita alla rievocazione di questi avvenimenti antichi):

Ma ti ho detto che volevo mandare ad Alba...

Voda:

Me l’hai detto, è vero,
ma il popolo piange ancora il voivoda Nicola
e la pietra del suo sepolcro bacia a Câmpulùng!...
(riprendendo il filo del discorso)
Per questa lor vittoria gli eserciti nemici giunsero
fino ai monti che recingon la nostra patria, e, senza domandare
a me, tuo Signore, mandasti ambasciatori di pace
a quei che pace essi stessi imploravano!
Contemporaneamente il nuovo esercito che la patria apprestava
tu discioglievi e nella stessa capitale
chiamavi Kaliàny col suo esercito ungherese.
Solo, fuggiasco e senza aiuto a Făgăraș
me vincitore abbandonavi alla mercè del vinto.

· · · · · · · · · · ·

Sì, d’allora, Regina, tuo è il mio regno avito,
Kalliàny su esso domina e la mia stessa sorella
a lui in ostaggio desti, pegno della mia fede e della sua vita.
Ecco che cosa hai fatto del regno! Ed ho il dover di dirtelo:
di un tal governo la nostra patria è stufa!
Giacché di gloria non di vergogna fu sempre nutrita
ed apprese dalla santa tradizion degli avi
a non chinar la regai testa se non dinanzi a Dio!

Clara:

Ecco la gran parola: la tradizione!... Ma che cos’è infine
questa tradizione, che sempre mi buttate in faccia? Anch’io
ho diritto di parlarne, che abbastanza per vent’anni l’attesi