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L’usciere non mi credette. Dal suo sorriso impacciato compresi che non mi credeva. Lui — l’idiota! — pensava che volessi far dello spirito.
Finalmente il signor Podestà mi ricevette. Dopo, si capisce, avermi fatto attendere qualche minuto, perchè il signor Podestà dev’essere sempre molto occupato!... Lo trovai che passeggiava in su e in giù per il suo gabinetto, fischiettando e facendosi crocchiar le dita. «In fin dei conti» — pensai — «ogni uomo è libero di fare a casa sua quel che gli pare e piace!». Ed il signor Podestà era a casa sua. Bella stanza! Pitture, tappeti, la fotografia del Consiglio Comunale col Podestà proprio nel centro, il ritratto del Ministro degli Interni, alcune poltrone rivestite di pelle e uno scrittoio stile Luigi non so quantesimo...
— È bene esser Podestà, non è vero?
Il padre della città mi guardò meravigliato come una pecora sperduta, poi prese un atteggiamento grave e parlò:
— Egregio signore, prima di saper con chi ho l’onore di parlare, vi prego di non essere insolente, avete capito?
Non mi sentii offeso. Perchè avrei dovuto risentirmi? Quella era la sua opinione: che ero stato insolente. Benissimo. Io rispetto le opinioni.
— Piano, signor Podestà! — gli dico — non vi scagliate contro di me come un cane di macellaio. Dobbiamo discutere di cose molto gravi.
E mi sprofondai comodamente nelle braccia della mia poltrona di pelle.
— Oh come ci si sta bene da voi! — aggiungo per farmelo amico ed accendo una sigaretta fina, profumata, che tolgo da una scatola che il signor Podestà aveva sul tavolino.
— Ma,... signore! — protestò il padre del Comune — dite presto quel che avete a dirmi, e, vi ripeto, ricordatevi dove vi trovate e agite da persona bene educata.
Tacqui. S’usa così; quando s’hanno a dir cose importanti, bisogna pensare a lungo prima di parlare. È vero che il signor Podestà non fischiettava più, anzi osservai che teneva i pugni stretti.
— Son venuto con intenzioni pacifiche, signor Podestà, non vi preoccupate.
— Insomma, che volete?
— Non ho alcuna occupazione, non esercito alcun mestiere...
— Non ho posti vacanti! — s’affrettò a interrompermi.
— Fatti vostri. Che volete che me n’importi a me se al Comune ci sono o no posti vacanti? Non son venuto a chiedervi nessun posto!...
— Ma, signore!
— Vedete? Perchè vi agitate?
— Ma dite una buona volta che cosa volete da me!
— Signor Podestà, io son vagabondo... di professione, come si suol dire. Non ho parenti e non posseggo un centesimo; non ho nulla: nè moglie nè casa... in una parola comincio ad annoiarmi e, oltre a ciò, son povero in canna e mezzo nudo... come potete ben constatare. Ed ho pensato che — in fin dei conti -— perchè non dovrei vivere anch’io nell’abbondanza almeno per una settimana? Ovvero, se ciò non fosse possibile... finirla una buona volta e per sempre colle miserie della vita.
— Ma che diavolo m’andate dicendo? — si meravigliò il padre del Comune, un po’ rabbonito.
— Son venuto da voi — continuai, accendendo un’altra sigaretta — a proporvi un affare.