Pagina:Ortiz - Letteratura romena, 1941.djvu/142


— 142 —


sua «Istoria Românilor în chipuri și icoane» (Storia della Romania in ritratti e icone), la sua eruditissima «Istoria literaturii române» in cinque grandi volumi, e i recentissimi volumi autobiografici «Memorii», a «Subt trei Regi», «Viața unui om». Spirito romantico e battagliero, versatilissimo, dotato di una cultura prodigiosa in campi svariatissimi, le sue attività di storico e di uomo politico s’integrano a vicenda e fan di lui una figura europea che ha qualcosa in comune con quella di Unamuno, del quale ha così i pregi che i difetti.

Trascrivo qui da un articolo inedito destinato a una rivista italiana che poi sospese le sue pubblicazioni; una descrizione della casa di campagna e della vita del contadino romeno, che a me sembra una delle più belle pagine dell’Iorga:

Fra le delicate sculture delle colonnine che fanno alla veranda piena di luce una cornice di fiori fantastici e d’ingenui arabeschi, sorridono all’ospite, davanti al quale si spalanca la porta di legno bianca o annerita dal tempo, i fiori che ogni fanciulla si compiace di aggiungere alla bellezza semplice della sua rustica abitazione. E dentro l’aspetta la «casa grande» a mano destra del «cuptor», il vasto focolare avito che riscalda, entrando in tutte le stanze, la casa intera; la «casa grande» che è il salotto del contadino co’ suoi mucchi di belle cose lavorate e ricamate non soltanto dalla futura sposa, ma già un tempo dalla padrona di casa per adornare le sue già lontane nozze e non di rado dalla vecchia ava e dalle antiche proprietarie di quel campo e di quella casa. Il basilico spande il suo penetrante profumo religioso presso le sacre immagini, dinanzi alle quali tremola la luce che non deve spegnersi mai, mentre il fino fiore giallo della mimosa impregna ogni piega di questa sola ricchezza bianca dalla povertà laboriosa del suo profumo che pare augurio di calma e dolce felicità.

Per mesi interi codesta casa resta vuota. Il bel sole d’oriente dispare nel rosso oceano del suo tramonto, solo per lasciare il cielo al mite dominio delle stelle e all’argentea luna. Si dorme sulla «prispa» che circonda di fuori l’abitazione, all’aria libera impregnata di odori soavi. Il venticello notturno che visita tutti e non pretende scacciare nessuno, non osa interrompere il lieve sonno di codesti immemori della stanchezza, che aspettano i primi segni del giorno imminente e il canto del gallo vigile per tornare al campo che li aspetta il profondo solco dell’aratro o la falciatura della bionda messe del pane.

Ma, prima di dormire quelle poche ore del suo riposo d’estate, il contadino, l’«uomo della terra» (1) sente tra i suoi — di cui non c’è uno che non gli faccia compagnia e non l’aiuti, compreso il piccino, che, addormentato sulle ginocchia della madre, darà, se non altro, il contributo del suo innocente sorriso — sente il bisogno di comunicar con tutta la poesia fantastica della natura e quella storica degli antenati. Allora si racconta il «basm»,

  1. In rumeno țăran dal lat. «terraneus», uomo della terra.