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«Bravo Tanase!» — disse Matei sorridendo.

— «Ti ricordi anche di questo tarpano?» — domandò il signor Dinu.

— «Sicuro che me ne ricordo: eravamo amici. Non è punto uno sciocco».

— «Non è uno sciocco ma è un contadinaccio arricchito, e per giunta furbo più del diavolo. Vorrebbe che gli dessi in moglie Tincuzza».

Matei guardò suo zio un po’ disorientato. Non voleva irritare il vecchio e perciò si limitò ad osservare:

— «È un po’ vecchiotto per Tincuzza; è più vecchio di me».

— «È vecchio ed è tarpano» — aggiunse il Signor Dinu, guardando con un certo sforzo oltre il fiume, — «Tu ci vedi meglio di me: discerni qualcosa là in fondo?».

— «Sì, credo che sian pecore».

— «No — disse il vecchio soddisfatto — guarda meglio, non vedi?».

— «Sì, laggiù a sinistra...».

— «A sinistra, che sono? pecore?».

— «Così mi pare».

— «No, sono otarde!».

Era contento il signor Dinu di poter svelare al nipote i tesori della sua tenuta! Infatti, in fondo all’orizzonte, in una vailetta solitaria, uno stuolo di otarde se ne stava accampato, come se fosse un gregge di pecore. L’amor della solitudine così prepotente nei cacciatori, empiva il petto del giovane di un ineffabile sentimento di libertà, di rivelazione del proprio essere intimo, che tra gli uomini si perde e si trasforma in egoismo. Tacque, mentre il pensiero gli si perdeva nel tremolìo degli strati d’aria, trasparenti che si stendevano all’orizzonte. E lo stesso accadeva anche al vecchio.

(Trad. di Ramiro Ortiz).

Un romanzo storico ch’è un piccolo capolavoro (ed è poi prezioso come documento dei costumi romeni sotto i fanarioti) scrisse (1863) Niculae Filimòn (1819-1865) intitolandolo: «Ciocoii vechi și noi, sau Cine naște din pisică șoareci manâncă» (Villani rifatti vecchi e nuovi o Chi di gallina nasce convien che razzoli).

Ne riportiamo una pagina, in cui si descrive un festino in casa del «boiaro» Andronache:


Da «Villani rifatti vecchi e nuovi» di Niculae Filimòn.

La stanza preparata per il ricevimento degli invitati al festino era una specie di sala quadrata imbiancata a calce con in mezzo al soffitto una ghirlanda di fiori di stile arabo-turco imbiancata a calce anch’essa, lavorata a rilievo, ma senza nè gusto nè arte. Il mobilio si componeva di due letti di tavole sfondate coperte di materassi e di cuscini ricamati a colori vistosi e a disegni geometrici, sui quali eran distese delle coperte di lana di Brussa bordate di merletti veneziani. Accanto al muro che dava sul giardino c’era un gran cassone ricoperto di pelle di daino e cerchiato di ferro, sul quale era posato un altro scrigno più piccolo di noce intarsiato con fiori di madre-