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di «boieri» che, pur di mal animo, è costretta ad adattarsi alle esigenze borghesi dei tempi nuovi. Di questi romanzi, tutti interessanti dal loro punto di vista, solo il primo («Viața la țară») ed il secondo («Tanase Scatìu») posson dirsi riusciti, mentre gli altri, pur pregevoli, restano molto al disotto, soprattutto di «Viața la țară», che è da considerarsi come uno dei migliori romanzi che possegga la letteratura romena e per molto tempo è stato il solo che potesse competere con quelli stranieri. La poesia della campagna che l’anima dal principio alla fine, la signorilità e la squisitezza degli affetti e dello stile lo rendono anche oggi una delle letture più piacevoli e interessanti. Traduciamo qui qualche pagina del principio, in cui si descrive il ritorno dall’estero di uno dei protagonisti (Matei) chiamato in patria dal desiderio di rivedere la vecchia mamma malata e di dedicarsi tutto alla coltivazione ed all’amministrazione delle sue terre:

Da «Viața la țară» di Duiliu Zamfirescu.

Cantava, elevandosi a spirale verso il cielo, l’allodola nella freschezza del mattino, accompagnando lungo la Ialomitza le carrozze che andavano alla stazione. I bambini, raggruppati a cassetta, si divertivano a guardare i cavalli. Mihai guidava il tiro a quattro della sua carrozza di casa, pulita e lustrata per l’occasione, in cui doveva prender posto Matei. Sul viso di tutti era dipinta la salute e la felicità.

La vastità dei campi s’apriva davanti agli occhi in una ineffabile pace estiva. Da una parte, una vasta distesa, coltivata a granturco, faceva ondeggiare la punta delle foglie nervose, dando all’orizzonte un riflesso verde che sembrava ingrossar l’aria; dalla parte opposta, la Ialomitza scorreva lentamente tra le rive basse, lasciando vedere un orlo di steppa co’ suoi sentieri deserti, co’ suoi pascoli brucati come una macchia bianca e soprattutto col suo orizzonte ingannevole, la cui linea apparente danzava nella calura del sole d’estate come la superficie d’un lago. Dal greto del fiume l’armento saliva per un sentiero appena tracciato e si avviava lentamente verso il pascolo. Qua e là un bove solitario restava come confitto al margine dell’acqua, incarnando nella sua immobilità la solitudine del luogo.

Quando le carrozze giunsero al margine del campo di granturco, dovettero fermarsi. Il guardano della barriera saltò fuori dalla sua capanna, col berrettone di pelle d’agnello in mano, ed aperse il cancello di rami intrecciati che sbarrava la strada. Un cane striminzito si slanciò contro i piedi dei cavalli, abbaiando furiosamente e pronto, si sarebbe detto, a mangiarseli. Passarono tutte le carrozze al di là del rustico cancello. Dopo un quarto d’ora arrivavano alla stazione.

Tutta questa folla si riversò ridendo e saltando nell’unica sala d’aspetto, con gran meraviglia dei contadini conduttori di carri. Mihai colle sorelle più piccole e con Tincuzza; Elena co’ suoi quattro bambini intorno, la si-