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preso l’upupa per tormentarla. Hai fatto bene a dirmelo; lascia fare a me, che gliele sonerò sode!

— Ci puoi credere, cognata Smaranda, — disse la zia — perchè da questo tuo discolo non si salva nessuno! Questa poi me l’ha detto chi l’ha visto, che è stato Giovanni a prenderla; è una cosa che mi rivolta. Io, ch’ero nascosto nella dispensa, udendo ciò, salgo subito in soffitta, tiro fuori l’upupa, salto già dal tetto e vado difilato al mercato delle bestie per venderla; perchè era per l’appunto lunedi, giorno di mercato. Giunto alla fiera, mi metto a girare tutto impettito fra gli uomini, di qua e di là, coll’upupa in mano, perchè io mi sentivo un po’ della razza dei negozianti. Un vecchio pazzerellone, con un vitello per la corda, — si vede che non aveva nulla di meglio da fare! — mi dice:

— È da vendere questa pollastra, ragazzo?

— Sì, nonno.

— Quanto ne vuoi?

— Quanto credete.

— Dammela un po’ qua che la pesi.

E, mentre gliela dò in mano, quel vecchio del diavolo finge di cercarle le uova e le scioglie il filo del piede; poi la lancia in aria dicendo:

— Che peccato! M’è scappata!

L’upupa — vrrr! — sul tetto d’una bottega; e, dopo essersi riposata un po’, si dirige verso Humulești e mi lascia col viso lagrimoso a guardarle dietro. Io allora — crac! — al mantello del vecchio per farmi pagare l’uccello.

— Ma che vi credete, nonno, di poter scherzare con la merce degli altri? Se non volevate comprarla, perchè le avete dato la via? Non crediate di passarvela liscia colla vostra bestia, avete capito? C’è poco da ridere!

E, piantato davanti al vecchio, strepitavo tanto che la gente ci faceva cerchio d’attorno, come alla commedia: non era forse la fiera?

— Ma lo sai che sei un bel tipo, ragazzo mio? — disse il vecchio dopo un po’ non cessando di ridere. — Cosa credi per arrabbiarti così? Là! Non pretenderai mica di prendermi il vitello per un’upupa! Sembra che ti pruda la schiena, a qual che vedo, bimbo mio; ed io te la gratto, se vuoi, ma in modo tale, credimi, che dovrai chieder grazia quando m’uscirai dalle mani!

— Lascia stare in pace il ragazzo! — disse uno di Humulești — è il figliuolo di Stefano di Pietro, un proprietario del nostro villaggio, e l’avrai a fare con lui per questa faccenda.

— Eh, eh, salutamelo tanto, brav’uomo; o che t’immagini non ci conosciamo noi con Stefano di Pietro? — disse il vecchio — L’ho visto poco fa camminare per il mercato col metro sotto il braccio, dopo aver comprato il panno, com’è la sua partita; e dev’esser da queste parti, o in qualche osteria a bere dopo concluso l’affare. Ma è bene che io sappia chi sei, bimbo mio; aspetta un po’ che ti mando da tuo padre, a vedere se ti ha mandato lui a vender l’upupa ed a metter sossopra il mercato!

Tutto bene, ma, quando sentii parlare del babbo, abbassai la cresta e ’ pian piano sgattaiolai fra gli uomini e via a gambe verso Humulești, voltandomi ogni tanto per vedere se il vecchio mi corresse dietro: perchè ora ero io a scappare da lui, se debbo dirvi la verità. — Lo sapete il detto: «Lascialo andare!» «Io lo lascierei andare, ma è lui ora che mi lascia!» Lo stesso accadeva anche a me; ma ero contento di essermela cavata così a buon mercato.

(Trad. di Agnesina Silvestri-Giorgi, Firenze, «La Nuova Italia», 1931, pp. 54 sgg.).