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a una larga finestra aperta sugli studi danteschi, dalla quale, se è vero che è entrata molta luce, non è men vero che sia anche entrata molta polvere. Per fortuna la bella traduzione del Coșbùc, su cui fino alla morte è tornato di continuo correggendola e limandola, non è rimasta influenzata dal suo sistema d’interpretazione, sicché ho creduto sobbarcarmi alla non lieve fatica di darne un’edizione critica con tutte le varianti aggiunte nei successivi ritorni, facendola precedere da un’ampia introduzione su «Dante e la sua epoca» e corredandola del commento necessario, in una edizione solida ed elegante con copertina medievale e le vignette di stile botticelliano dell’edizione veneta del 1529 commentata dal Landino. Malgrado il difetto cui abbiamo accennato di contorsioni sintattiche dovute al desiderio di ridare anche le stranezze e l’oscurità dello stile dantesco, la traduzione è la sola completa in versi, la sola che abbia conservato il metro originario della terzina e la sola veramente poetica che possegga la Romania. Le altre (di Heliade Rădulescu, di Nicu Gane, di Maria Chitzu ed anche quella in prosa di Alexandru Marcu con anacronistiche illustrazioni moderniste di Mac Constantinescu) rappresentano dei tentativi falliti. Qualche canto isolato han tradotto Aron Densusianu, Gheorghe Asachi, e, in occasione del centenario Ovid Densusianu figlio del precedente e professore di Filologia Romanza all’Università di Bucarest, la signora Mia Frollo ed altri minori. Uno studio succinto sulla fortuna di Dante in Romania ha pubblicato nel 1921 su dati da me fornitigli, il prof. Carlo Tagliavini nell’«Italia che scrive» di quell’anno.

Come esempio della poesia lirica del Coșbùc diamo qui la traduzione di «La oglinda» (Allo specchio), di «Rea de plată» (La cattiva pagatrice) e di «Pocnind din biciu...» (Schioccando la frusta), che ci sembran tra le più delicate e caratteristiche:

Da «Balade și Idile» di Gheorghe Coșbùc:


LA OGLINDA

Oggi è un giorno fortunato:
giù dal chiodo, finalmente, o specchio!
La mamma è andata al villaggio e co’ suoi sogni
la figlioletta è rimasta sola.
Ed ha chiuso bene la stanza
col chiavistello.