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[versione diplomatica] Croniche di Bologna, e tanto breuemente baſti per la quinta volta. Intorno la qual coſa io direi che da quel tempo ſi è hauuta notitia, e conoſcenza nel mondo di tal Mōte ſempre, ma in diuerſi ſecoli, età, & anni hà euaporato il fuoco più, e meno, conforme ſi è ſcritto, e ſe nell’anno 1625. e ne’ trè altri, che ſeguiuano fuſſe ſtato detto (come fu la verità, che nella cima, ò roncauo di eſſo appariuano nebbie, e fumo, quali la ſera al tardi vie più creſceuano, ſarebbero ſtati i dicitori di tali nouelle tenuti per matti, ò per vbriachi, ma ſouerchio habbiamo badato.

Apporto gran timore à Napolitani, e danno notabiliſſimo à Pozzolani l’eruttatione fatta in Pozzuolo nel 1538. a 29 di Settembre, poſciache eſsendo ſtato per due anni continui auanti tutto il Paeſe trauagliato, e danneggiato da gagliardiſſimi terremoti, alla fin fine eſsalando fuori il fuoco per l’apertura d’una grandiſſima bocca in una notte uſcì tāto fuoco, pietre, cenere e pamici, che hauendo in un ſubito fatto ergere un monte, all’incontro del monte Barbaro, le cui falde dalla parte di mezzo giorno uerſo il mare, e da Tramontana insino al Lago Auerno si eſtendono, e dall’Oriente col piede del monte Barbaro si congionge, che perciò da Paeſani fu montagna nuoua, ò di cenere chiamata, che in un ſubito coprì tutti gli edificij, che gli erano di ſotto, e con l’iſteſse ceneri coprì tutto il contorno, conſumando con la puzza animali terreſtri, e volatili, rouinando la uendemia, tornando il mare à dietro più di ducento paſſi, con morte d’infinita copia di peſci, con produrre fonti d’acqua dolce, con tanto ſpauento de gli habitatori, che ſemiuiui, et ignudi fuggirono in Napoli, doue piouè gran quantità di cenere, che cagionò la morte di molti, et anco di quei, che troppo frettolosi uollero guſtare de’ morti animali, ò traſportarsi per uedere meglio nel luogo della uoragine, come dottamente il Portio, e Marc’Antonio delli Falconi diligentiſsimi ſcrittori laſciarono ſcritto; il qual flagello dalla mano di Dio fu molto meno, riſpetto à quel, che habbiamo uiſto, patito, e mal uolentieri ſentito à giorni noſtri, come dirò con ſchetta, e pura uerità, riſerbando in altro luogo il diſcorrere delle cauſe naturali, filoſofiche, et aſtrologiche; per hora dirò ſolamente, che è caſtigo de’ noſtri pcccati, conformandomi con l’Angelico Dottore, e che uiene daila potente mano del Signor noſtro Iddio, qual chiamo in teſtimonio della uerità, che lo ſtrano caſo fù aſsai più di quel che con ſemplice ſcrittura si anderà publicādo.


L

A notte dunque precedente al Martedì 16. del meſe di Decembre di queſto ſegnalato anno 1631. dal parto della Vergine, ſpeſsi terremoti, che si ſentirono per molte miglia à torno, cominciarono in diuerſe hore di quella à ſuegliare gli adormentati Napolitani, che impauriti dell’inopinato caſo (benche pochi anni ſono ne haueſſero ſentiti maggiori, e prima, e doppò la deſolatione delle Città di Puglia, che perciò ſi diedero alle deuotioni, & orationi; ma queſto fù vn niente a paragon di quel, che la mattina apparue, poſciache nel farſi giorno che fù molto ſereno, vna denſa, e groſſa nubbe di atro colore ſopra la cima del tante


[versione critica] Croniche di Bologna, e tanto brevemente basti per la quinta volta. Intorno la qual cosa io direi che da quel tempo si è havuta notitia, e conoscenza nel mondo di tal Monte sempre, ma in diversi secoli, età, et anni hà evaporato il fuoco più, e meno, conforme si è scritto, e se nell’anno 1625. e ne’ trè altri, che seguivano fusse stato detto (come fu la verità, che nella cima, ò roncavo di esso apparivano nebbie, e fumo, quali la sera al tardi vie più crescevano, sarebbero stati i dicitori di tali novelle tenuti per matti, ò per ubriachi, ma soverchio habbiamo badato.

Apporto gran timore à Napolitani, e danno notabilissimo à Pozzolani l’eruttatione fatta in Pozzuolo nel 1538. a 29 di Settembre, posciache essendo stato per due anni continui avanti tutto il Paeſe travagliato, e danneggiato da gagliardissimi terremoti, alla fin fine essalando fuori il fuoco per l’apertura d’una grandissima bocca in una notte uscì tanto fuoco, pietre, cenere e pamici, che havendo in un subito fatto ergere un monte, all’incontro del monte Barbaro, le cui falde dalla parte di mezzo giorno verso il mare, e da Tramontana insino al Lago Averno si estendono, e dall’Oriente col piede del monte Barbaro si congionge, che perciò da Paesani fu montagna nuova, ò di cenere chiamata, che in un subito coprì tutti gli edificij, che gli erano di sotto, e con l’istesse ceneri coprì tutto il contorno, consumando con la puzza animali terrestri, e volatili, rovinando la vendemia, tornando il mare à dietro più di ducento passi, con morte d’infinita copia di pesci, con produrre fonti d’acqua dolce, con tanto spavento de gli habitatori, che semivivi, et ignudi fuggirono in Napoli, dove piovè gran quantità di cenere, che cagionò la morte di molti, et anco di quei, che troppo frettolosi vollero gustare de’ morti animali, ò trasportarsi per vedere meglio nel luogo della voragine, come dottamente il Portio, e Marc’Antonio delli Falconi diligentissimi scrittori lasciarono scritto; il qual flagello dalla mano di Dio fu molto meno, rispetto à quel, che habbiamo visto, patito, e mal volentieri sentito à giorni nostri, come dirò con schetta, e pura verità, riserbando in altro luogo il discorrere delle cause naturali, filosofiche, et astrologiche; per hora dirò solamente, che è castigo de’ nostri pcccati, conformandomi con l’Angelico Dottore, e che viene daila potente mano del Signor nostro Iddio, qual chiamo in testimonio della verità, che lo strano caso fù assai più di quel che con semplice scrittura si anderà publicando.


L

A notte dunque precedente al Martedì 16. del mese di Decembre di questo segnalato anno 1631. dal parto della Vergine, spessi terremoti, che si sentirono per molte miglia à torno, cominciarono in diverse hore di quella à svegliare gli adormentati Napolitani, che impauriti dell’inopinato caso (benche pochi anni sono ne havessero sentiti maggiori, e prima, e doppò la desolatione delle Città di Puglia, che perciò si diedero alle devotioni, et orationi; ma questo fù un niente a paragon di quel, che la mattina apparve, posciache nel farsi giorno che fù molto sereno, una densa, e grossa nubbe di atro colore sopra la cima del tante


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