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pulizia e di modesta agiatezza; la tovaglia, essendo domenica, era bianca, il cavallo di Carlino dormiva dimenticato sopra quella sedia. Tutto invece sarebbe sossopra domani: forse il vecchio mansionario scenderebbe lui pure, attirato inconsciamente dalla paura della morte. Chi sà quali pianti, quali commenti!
Dove sarebbe allora il suo cadavere?
— Lei non sta bene; — lo destò la voce brusca d’Anastasia.
— Io!
— Io dunque? proprio lei, che cosa ha?
— Infatti anch’io ti ho osservato.
— Ma non ho niente! dammi piuttosto da bere, ecco. Che cosa debbo avere? Avete paura che muoia?
Aveva cercato di fare la voce scherzosa, affrettandosi a bere per dissimulare il turbamento, ma quell’ultima parola lo trascinò.
— Bah! se dovessi anche morire...
— Che discorsi sono questi?
Siccome Carlino aveva finito di pulire il piatto coi ditini, egli vinto da un impeto di tenerezza si sporse, afferrandolo sotto le ascelle, e se lo mise sulle ginocchia.
Il piccino rideva superbo.
— Hai ancora il soldo? No? lo avrai nell’altro abitino.
— Eccolo, papà: guarda il buco.
— Dì alla mamma che ci passi dentro un cordoncino, e te lo metta al collo. Mi hai promesso di non spenderlo: manterrai la promessa? Vuoi più bene a me o alla mamma?
Carlino esitava.
— Hai ragione, hai ragione: lei è migliore di me; va a prendere il tuo cavallone.