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teressare a questo suo disegno prediletto la vecchia zia Matilde.
— Che cosa vuoi dunque che faccia un giorno Ada? La maestra, la sarta?
La fanciulla, già viziata dalle troppe carezze, scuoteva la testa con una smorfietta, ed egli non sapeva come replicare.
Quindi colla facilità delle donne a vedere già realizzati i propri sogni, Caterina s’inteneriva orgogliosamente sull’avvenire, vedendo Ada mescolata a tutte le signorine delle migliori famiglie, e più bella di loro fare appena uscita di convento un grande matrimonio.
— Stasera, poco prima dell’Ave Maria, ritorneremo dalla zia Matilde per scusarci: verrai anche tu, non me lo negare. Io ti ho sempre lasciato fare quando hai voluto: ti ho forse mai disturbato? — proruppe ad un suo moto; — e poi non si tratta di me o di te. Oramai per noi è finita: che cosa ci può accadere? Invecchieremo così alla meglio, ma essi hanno bisogno di una buona posizione. Tu hai sempre voluto che Carlino debba andare all’università; io ti approvo, ma debbo preoccuparmi anzitutto dell’altra. Io sono la mamma. Un uomo nella vita arriva sempre a cavarsela, ma una donna se non trova presto marito, senza una buona posizione, può essere perduta.
— La zia non ci lascierà nulla, — egli osservò: — sai pure che è pazza per quella sua figlioccia.
— Lo dici tu, io non lo credo. Sarebbe da parte sua una ingiustizia: è capitale di famiglia, deve ritornare a noi.
— Deve!
— Non si può gettare via il capitale della famiglia.