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— Perchè, vedi, — gli diceva Caterina sul finire del pranzo, — io sono persuasa che ella ci lascierà tutto. Capisco che non è gran cosa, in ogni modo sarà la dote per Ada, ma bisogna che non seguitiamo a trattarla così. Tu hai sempre detto che la zia Matilde non ti ha amato, e pare anche a me che sia così. Non so, — ella seguitava con quel suo buon senso di donna, nella quale la tranquillità del temperamento favoriva l’equilibrio dello spirito, — se tu abbia ragione sostenendo che ella ti voglia ancora male per un vecchio rancore contro la tua povera mamma, però dovresti mutare contegno verso di lei.

— Che cosa vuoi che faccia? — egli rispose, preso nell’interesse di quei discorsi, che preparavano l’avvenire.

Infatti Caterina lo aveva subito sgridato per non essersi fatto vedere in quella visita alla zia Matilde, dopo che ella imprudentemente l’aveva avvisata della sorpresa. E sarebbe stata davvero tale, s’egli vi fosse andato, giacchè per una antipatia istintiva cansava sempre quella vecchia parente; ma questa, inciprignita naturalmente dal non vederlo arrivare, aveva finito con lo strapazzare Caterina come di un cattivo scherzo.

Caterina, irritata dall’insuccesso, dopo aver troppo contato sul magnifico effetto dei bambini, non aveva poi badato all’aria abbattuta di lui. Non di meno il pranzo era proseguito abbastanza bene.

Per fortuna i bambini, lieti dei vestiti nuovi e più