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rabbuffo dalla padrona se i bimbi avessero macchiato le vesti, seguitava:
— Lo sa pure anche lei che debbo preparare quella cosa: perchè stanno qui?
— Non aver paura, ci bado io.
— Sì, lei! ci saranno dei guai anche oggi.
Ma Ada, col suo garbo di donnina, l’ammansì chiedendole quale minestra avrebbe fatto in quella domenica.
— Il risotto alla milanese.
Ada battè le mani.
— Indietro adunque; state tranquilli col papà, o vi mando via tutti.
La cucina, piccola, non riceveva luce che da un cortiletto morto; v’era una madia e un largo tavolo rettangolare appoggiato al muro. La pentola gorgogliava fra lo scoppiettio della fiammata accesa per l’arrosto.
Padre e figli rincantucciati dietro la tavola si facevano delle carezze in silenzio: egli li aveva ricinti con un braccio e lisciava loro i capelli coll’altra mano.
— Dammi un soldo, — domandò improvvisamente Carlino.
— E a me? — proruppe Ada.
— Tu sei già una donnina.
Il complimento fece effetto.
Egli si era tratto un soldo dalla tasca, lasciando che Carlino glielo ghermisse di mano come un gatto.
— Che cosa ne farai? non hai nemmeno la tasca.
Ma osservando quel soldo, il fanciullo si accorse che era bucato.
— Cambiamelo.