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Matilde per mostrarglieli, vieni anche tu. È un pezzo che le dobbiamo una visita, ci sdebiteremo tutti insieme.
Anastasia era passata nello stanzino per cangiare abito prima di rimettersi a cucinare; egli sempre più tremante entrò coi due fanciulli nella saletta. La prima cosa che vide, fu appunto il cavallo di Carlino, ancora sdraiato sopra la sedia, colla zampa rotta sino quasi alla spalla e le rotelle del piedestallo sgangherate. Il sogno misterioso della notte gli ritornò alla memoria, rinnovandogli la stessa angoscia, come se davvero un medesimo destino unisse suo figlio a quel giocattolo. Si era riseduto su quella sedia, mentre i bambini giravano intorno alla tavola svogliati.
Non sapeva più che cosa dire loro.
Una tenerezza di lagrime gli ammolliva il cuore; i due fanciulli erano belli, Ada maggiore di due anni, così abbigliata, aveva già della donnina nelle movenze. I magnifici capelli biondi, sciolti sulla schiena, brillavano nel fulgore dell’oro, incorniciandole il viso illuminato soavemente da due grandi occhi chiari, assai più vivi che quelli della mamma. Aveva una pelle di gelsomino e un’ineffabile freschezza sulla bocca; Carlino invece più tozzo, bruno, coi capelli corti e il nasino all’in su, pareva un contadinello, che si movesse goffamente, con quella pesantezza così esilarante nei bambini.
— Siete stati a messa? — egli ricominciò.
— Sì, — rispose Ada: — Amelia mi ha sempre guardata, poi mi mostrava alla mamma, perchè ero meglio vestita io.
— Ah la superbetta! e tu Carlino?
— Lui non s’è voluto inginocchiare per non sporcarsi i calzoni.