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— Come sta il conte? — gli chiese l’altro alle spalle.
— Bene.
E si era affrettato ad uscire.
Corse alla stazione, alle quattro scendeva a Cesena. Non trovò la ragazza a casa. Quando l’incontrò due ore dopo, in compagnia di altri cantanti, non potè farle che un cenno, cui ella finse di non badare.
Allora divenne imprudente, la pedinò sino a casa e, poichè salivano anche coloro con lei, poco dopo arrischiò di presentarsi.
La padrona non voleva lasciarlo passare, Camilla accorse al rumore.
— Ho quella cosa, — egli le gridò quasi.
— Dammi... — e tese puerilmente la mano.
Ma l’altro non si mosse; non di meno il suo viso era così raggiante che la ragazza rimase convinta.
— Torna fra tre quarti d’ora. L’hai tutta, quella cosa?
Mezz’ora dopo risalendo le scale, giacchè nel bollore della propria impazienza non aveva neppure potuto attendere tutto il tempo assegnatogli, Romani incontrò per le scale un facchino carico di un baule; la ragazza era ancora sulla porta dell’appartamentino guardando.
— Ah! sei tu, vieni, — esclamò con un tremito nella voce; ma, appena dentro, la sua fisonomia si era fatta repentinamente dura.
— Non mi hai ingannata?
Egli, che aveva comprato appositamente un altro portafogli, lo trasse di tasca e glielo offerse: era di seta azzurra con una ballerina dipinta nel mezzo.