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proprie robe, mentre gli impiegati giravano su e giù con le lanterne, rispondendo con accento seccato alle brevi contestazioni, non gli fu possibile trovare il momento per uno sfogo. La ragazza sfringuellava sempre in qualche crocchio di compagne, quasi tutte incollerite, o correva su e giù per le sale con certi moti vispi, che a lui svegliavano troppi ricordi. Finalmente potè rattenerla un istante.
— Venite a Cesena domani sera, — ella gli disse senza badare alle sue parole.
Egli nascose a stento lo sdegno, l’altra era già lontana.
Quando il treno arrivò, il rimescolìo divenne pazzo addirittura. Era un treno diretto: il grosso dei bagagli restava in stazione per partire con un altro treno della giornata. Le donne si cacciarono dentro i vagoni con un garrito di passere, alcune in seconda, altre in terza classe; dagli sportelli aperti si vedevano gli scompartimenti gremirsi in un attimo di sottane, di cappellini, di fagotti, di valigie, mentre la voce dei conduttori scoppiava tratto tratto in sollecitazioni impazienti, e le figure tumultuavano dietro gli sportelli già chiusi, mentre il treno fischiava divincolandosi.
Egli rimasto sul marciapiede col cuore stretto e gli occhi fissi allo sportello, dietro il quale ella era scomparsa, traballò come il suolo, allungando il collo per vedere ancora, ma la fila nera dei vagoni si allontanava già, senza che la ragazza avesse sporto il capo dalle tendine svolazzanti nel vento di quella fuga.
L’indomani sera andò a Cesena.
D’allora la sua passione crebbe morbosamente. Camilla aveva confessato subito di avergli trovato un