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coprirla di baci. Ella, quando non era in vena di carezze, arrivava tosto alle ingiurie, l’altro implorava con tenerezze umilianti, si bisticciavano per finire sempre allo stesso modo, egli offrendo qualche regalo ed ella ricusando per irritarlo maggiormente, così sicura di se stessa che nemmeno si pigliava l’incomodo di mentire. Tali provocazioni impudenti, invece di farlo fuggire, lo attiravano tristamente, per quel mistero della donna, che solamente nell’abbiezione di tutta sè medesima trova le proprie forze supreme. Talora si prometteva di smettere, perchè quella ragazza, chi era mai finalmente? Una cantante d’operette, come tutte le altre, senza educazione, senza cuore, senza nulla; nemmeno piaceva agli altri. Come mai non piaceva? Forse nessuno l’aveva ancora veduta a certi momenti come lui. Questa supposizione vanitosa, inevitabile a tutti gli innamorati per il bisogno di modificare qualche cosa nella propria amante, lo rieccitava alla speranza di farsi amare, come se l’amore solamente potesse spiegare in lei quegli scatti deliranti.

Ella invece lo canzonava anche in pubblico sui vestiti, sulla sua educazione e soprattutto sulla spilorceria.

Due volte credette di averla abbandonata.

Quando le tornò l’ultima volta, ella gli buttò le braccia al collo; era mezzo discinta, aveva mangiato allora allora delle sardine colla cipolla, e il suo alito se ne risentiva.

Lo guardò fiso:

— Non te ne andrai che quando io vorrò!

Egli sentì la verità di questa condanna, poi pregò, ella non acconsentì in quel momento.

Poco dopo egli piangeva sopra una sedia.