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— Vi è bisogno di un perchè?
Egli rimaneva impermalito. Camilla invece aveva riso gaiamente; ma si erano accompagnati.
— Mi avete veduta stasera vestita da bebè?
— Siete sempre incantevole!
— Infatti mi parete incantato. Come vi chiamate?
— Adolfo.
— Avete moglie?
— Perchè me lo chiedete?
— Mi avete pur chiesto di accompagnarmi. Dove andiamo a cena? Badate che non voglio trovarmi con alcuno della compagnia.
Era una cosa difficile; nondimeno egli promise che all’Aquila d’Oro non avrebbero incontrato alcuno. Non era vero. Infatti ve n’erano molti. Camilla chiamò due o tre donne e uno dei tenori, cenarono, risero; ella diventava di una gaiezza sempre più irritante, mentre gli altri avevano l’aria di spalleggiarla in quella scena.
Solamente due giorni dopo egli era diventato l’amante.
La ragazza, senza un soldo, golosa, bestemmiava alla più piccola contrarietà e si lavava appena; la prima notte aveva ancora sul collo tutta la biacca della recita, ma in compenso diventava tratto tratto di una sfrenatezza voluttuosa, alla quale nessuno avrebbe potuto resistere. Egli ne era stato travolto. Quando la mattina sulle otto si destò dal torpore, che lo aveva sorpreso a giorno alto, ella intenta già a pettinarsi tornò verso di lui coi capelli mezzo disciolti; aveva la bocca più sanguinolenta nel volto più livido.
— Come ti senti? — gli disse ironicamente al vederlo così sfatto.