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tavano, lo ricevevano sempre. Tale ingiustizia gli diede quel senso amaro di orgoglio contro la società, che aveva sempre sentito nei discorsi dei radicali, condannandolo come una bassa invidia. Invece era proprio così; a parte ogni altra differenza, la società giudica secondo le persone. Essere ricco! non v’era altra guarantigia, mentre egli si era rovinato stupidamente per sembrarlo; non si poteva essere più sciocco, lo capiva, se lo ripeteva con tutto il fiele, col quale l’avrebbe detto e ridetto sul viso al proprio peggiore nemico.
Venne alla finestra. Fuori c’erano le griglie chiuse, ma attraverso i loro vani gli apparve un lembo della strada e delle case di fronte: non passava alcuno, tutti dormivano ancora. Tese l’orecchio. Nessuno in tutta la città doveva trovarsi come lui in quel momento; involontariamente si paragonò ad un condannato a morte, ricordandosi in un lampo tutti gli articoli delle esecuzioni capitali letti sui giornali. Allora non gli erano parsi che interessanti.
La testa gli girava.
Perchè tanti altri peggiori di lui erano più fortunati? Egli non aveva commesso che una sciocchezza nella vita, innamorarsi di una cantante da operette, e non aveva fatta che quella firma falsa, sapendo di poterla sempre pagare colla vendita del podere. Era dunque appena uno strappo nelle formalità del codice, un fallo di procedura: lo sentiva, era sicuro di non ingannarsi. Era ancora un onest’uomo, uno scemo magari, che si era mangiato troppo presto il piccolo patrimonio della mamma, ma non un delinquente. Non aveva mai rubato. In quel momento si ricordava in blocco tutta la propria vita con una specie di malinconica alterezza,