Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
grossi poderi, e quella doveva essere stata per lui l’occasione d’interrogare il vecchio signore sulla cambiale.
Quel sorriso freddo, senza canzonatura, alla stazione, lo rivedeva ancora, provandone lo stesso sgomento tremulo e diaccio: era la vendetta segreta dell’uomo forte, che schiaccia quasi disattentamente e dimentica.
Non v’era più riparo. Bonoli, anche scongiurato in ginocchio, avrebbe sempre negato la propria partecipazione in quella denunzia, mentre il Bugnoli avrebbe finito rammaricandosi di aver ceduto ad un moto irriflessivo di sdegno nella scoperta del tiro giocatogli con quella firma falsa. Ma era tardi. A chi rivolgersi? Forse il pretore, malgrado l’ostentata severità, avrebbe potuto, accorrendo subito presso di lui, simulare di non aver ricevuto la cambiale, forse non l’aveva ancora trasmessa alla procura del re; ma da chi farlo pregare? Le persone influenti, quelle pochissime capaci di tale miracolo, non lo avrebbero voluto per un uomo insignificante come egli era sempre stato: bisogna essere in una grande posizione, o aver reso ben grossi servigi in un partito, per ottenere siffatti contraccambi.
E la fantasia gli riprodusse istantaneamente tutti i tipi dei più noti signori in città: non erano gente a lui superiore per spirito, solamente erano signori. Ecco la vera, più costante superiorità nella vita. Una rabbia fredda gli strinse il cuore; egli periva come tutto il resto dei poveri o dei piccoli, appunto per essere piccolo e povero. Si ricordò del conte Landi, uno scapestrato del paese, che aveva fatto più d’una firma falsa, ma al quale per riguardi di nome e di parentele tutti erano venuti in soccorso, e lo salu-