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ribile, inintelligibile anche quando la si accetta. Prima bisognava calmarsi.

— Vediamo: che cos’è? Ho fatto una firma falsa in una cambiale, — e questa cambiale è stata presentata al pretore prima della scadenza. Perchè?

Era stato il Bonoli, senza dubbio. Quell’uomo era il suo nemico sino dalle ultime elezioni, nelle quali egli lo aveva stupidamente combattuto, accusandolo appunto di essere un socio segreto dello strozzino Bugnoli. Tutti in fondo lo sapevano, ma nessuno aveva osato formularlo nettamente prima; egli solo, nell’orgasmo di una discussione al caffè, per far piacere al vecchio capo dei moderati, il signor Trenti, un omone altrettanto grosso di ventre che fine di spirito, vi aveva insistito così, citando fatti e satireggiando, che il nome del Bonoli era stato scartato dalla lista.

Allora se ne era sentito tutto orgoglioso: per un momento aveva quasi creduto che lo avrebbero sostituito col suo, poi era stato complimentato, messo quasi nel novero dei vincitori. Ma il Bonoli non era uomo da lasciarsi battere impunemente. Mezzo clericale, grasso, malaticcio, con cinque o sei figli brutti anch’essi, aveva rapidamente, inesplicabilmente accumulato un grosso patrimonio. Era infatti socio segreto del Bugnoli; ma ciò non spiegava abbastanza quel suo crescendo subitaneo in ricchezza: molti lo temevano, quasi tutti lo stimavano per la precisione del colpo d’occhio in affari e una sensata larghezza nello spendere. Dopo, si erano trovati parecchie volte al caffè, senza che nei discorsi o negli atti trapelasse alcun rancore, anzi il Bonoli pareva più amabile.

Adesso capiva tutto; il Bonoli stava appunto comprando dal conte Zoli un avanzo di tenuta, quattro