Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
accusati, dinanzi ai giudici e al pubblico, con Caterina nella sala che singhiozzerebbe, mentre egli dovrebbe rispondere all’interrogatorio sentendosi addosso tutti gli sguardi della folla indifferente nella certezza di una condanna, che rendeva egualmente inutile ogni abilità di accusa o di difesa. Tanto era morire altrimenti. Tutto intorno a lui si sarebbe del pari spezzato: Caterina e i bambini, ridotti alla più squallida miseria, non avrebbero più per lui che un orrore misto di odio, quell’odio doloroso ed onesto di tutti i caduti per colpa d’altri nella povertà umiliante di una condizione, dalla quale anche uscendo, rimane la macchia. Ma Caterina sopravviverebbe al colpo?
Si poteva durare a quella tortura del processo, che comincerebbe subito, colla sua prima parola, entrando nella camera da letto per confessare tutto?
Sarebbe stato il primo tratto di corda al cuore, nel silenzio di quella camera così tranquilla da dieci anni, mentre i bambini dormivano nell’altro stanzino, sempre coll’uscio aperto. Lo strido di Caterina somiglierebbe a quello di un ferito: se lo sentiva già dentro gli orecchi lacerante, lungo, che si perdeva in lontananza dopo avergli forato spasmodicamente il cervello. Egli non potrebbe calmarla. Che cosa dirle? L’origine di quella colpa l’aveva già sconvolta tre mesi prima, apprendendola solamente a mezzo; era stata una gelosia improvvisa, quasi furiosa, che gli aveva rivelato in lei tutta un’altra faccia del suo carattere apparentemente così bonario e insignificante. Egli in quella amarezza dell’essere tradito dall’altra, per la quale si era pazzamente perduto, ne aveva provato come una consolazione di orgoglio, nella certezza dell’affetto che gli restava.