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tori, gli si aggrondava sui sopracigli velandogli gli occhi, mentre uno stiramento gli irrigidiva la bocca convulsa.
L’orologio della piazza battè tre quarti d’ora dopo la mezzanotte.
La prima cosa che sentì, fu di essere così profondamente mutato. Benchè in casa propria, non vi si riconosceva più: vedeva la disposizione di tutto l’appartamento con quelli che vi abitavano, sua moglie Caterina addormentata nell’altra camera sotto la coperta di filugello verde; nella stanzina attigua Ada e Carletto nei due lettini di ferro; vedeva il proprio posto vuoto accanto a Caterina, l’attaccapanni col grande cappello nero a cencio, il mantello scuro, la specchiera sul comò di fronte al letto, udiva la respirazione regolare, il russo lieve di quei dormienti, ma con un senso inesplicabile d’indifferenza come di uno straniero, pel quale quella casa e quelle persone non potessero avere alcun significato. Era solo! La stessa intimità del suo passato con essi si rompeva improvvisamente, isolandolo dalla loro esistenza, della quale una volta provava le ripercussioni ad ogni atto, senza potersene staccare nell’avvenire nemmeno colla fantasia.
Quindi un più sottile malessere gli veniva da quel gabinetto quasi vuoto, rischiarato appena dalla candela, freddo e muto come una stanza d’albergo. Infatti era quasi il medesimo mobilio: sedie, scrittoio, scansie, sofà in noce e lana, senza stile, senza accento. Egli vi era solo.
Così? Perchè? Perchè così solo?
— Dove sono? — esclamò sommessamente, portandosi ambo le mani alla faccia.
L’idea gli si ripresentava lucida, inesorabile.