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Era la loro stessa battaglia di tutti i giorni nell’imbroglio continuo di contratti fra gente di tutte le risme, in mezzo alla quale bisognava guardarsi da ogni lato e far buon viso a tutti i presenti, senza il permesso di potere ingannarsi sulla probità o sulla solvibilità di alcuno. Al primo dubbio tutte le espansioni si restringevano, ognuno per necessità di battaglia si rimetteva sulla parata con un orgoglio di egoismo, che non vuole lasciarsi abbindolare da pietà di sventure o da illusioni di risorse. Sotto la loquacità chiassosa della colazione egli aveva sentito la durezza impenetrabile dei cuori, la diffidenza vigilante e pronta a tentare col più atroce degli scherzi l’imminenza di una ruina per meglio evitarla.
Ma prima di quella cambiale, non aveva notato certe cose.
Quindi si era sforzato di non pensarci: il disegno per rimediarvi lo aveva, vendere l’unico podere a quello stesso strozzino, giacchè vi rimaneva ancora, malgrado le ipoteche, un margine di tre o quattro mila lire.
Ecco perchè quasi non se ne preoccupava; ma gli altri debiti, i regolari, lo urgevano tutti i giorni, senza requie. Era andato a Bologna appunto per girare una cambiale colla firma di un amico, un giovinotto in vena di ruinarsi gaiamente, e così fare fronte ad altre due cambiali, che gli scadrebbero lunedì alla Cassa di Risparmio e alla Banca Popolare; ma fra tutte e due non superavano le quattrocentosessanta lire. Era poco, però ne aveva altre, anche più piccole, poi tutto il resto dei debiti e delle liste.
Mai si era sentito più sconsolato di quel giorno; per reagire aveva bevuto parecchi vermouth nelle bottiglierie, aveva seguito per strada, sino a casa,