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strano e il cappello, appendendoli ad un minimo attaccapanni piantato nella parete. Ascoltò: l’appartamentino aveva la calma ordinaria, nell’altra camera Caterina lo attendeva dormendo; poi v’era lo stanzino dei bimbi, nel quale stava anche la donna di servizio, oramai diventata della famiglia: una donna pettegola, che dominava la padrona, ma faceva tutte le economie possibili, riuscendo quasi sempre a dissipare i malintesi fra lui e la moglie.
Malgrado la scarsezza del patrimonio, egli avrebbe quindi potuto vivere contento nella famiglia.
Infatti non si era mai lagnato: sentiva anche in quel momento una compiacenza onesta, che gli alleggeriva il peso di tutti i disappunti subiti nella giornata.
La candela bruciava sul tavolo da qualche minuto, egli si era girato e rigirato inutilmente per il gabinetto due o tre volte, quando vide una lettera quasi sotto al largo calamaio di maiolica bianca.
Veniva, a lui, ma sulle prime non ne ravvisò il carattere; qualcuno doveva averla recata nella sua assenza, perchè non portava francobollo.
Stracciandone la busta si sentì tremare da capo; la lettera diceva:
Città, 29 aprile 1896.
- Caro Adolfo,
Debbo partire subito per Firenze, senza perdere un minuto, perchè mia madre è gravemente malata; ma capirai come posso stare non avendo potuto ottenere il permesso stamattina. Ti ho cercato dopo pranzo al caffè per comunicarti in segreto che Oreste Bugnoli ha portato al pretore una tua cambiale per