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Caterina, la moglie, non vedendolo arrivare all’ora di cena, gliene aveva lasciata la miglior parte, immaginandosi che potesse avere molta fame al ritorno.

La bottiglia nera del vino era quasi piena.

La saletta dall’usciuolo di sinistra metteva nella camera da letto.

Egli camminava in punta di piedi; la vista della cena gli risvegliò quasi istantaneamente l’appetito, perchè non aveva più mangiato da quella colazione sul mezzogiorno, prodiga e sontuosa quanto un pranzo. Rimase incerto qualche secondo, temendo, se si fosse posto a tavola, di svegliare col rumore dei piatti Caterina, che doveva dormire da un occhio solo; quindi schiuse con molta precauzione l’uscio del gabinetto, e vi entrò senza sapere bene il perchè. Non aveva niente da farvi; in quel momento la sua testa affaticata non gli suggeriva alcun espediente. Ma quello studiolo era l’unica solitudine, nella quale si chiudeva ogni qualvolta avesse qualche affare difficile da svolgere, o qualche tristezza da nascondere; vi teneva pochi libri, perchè non era mai stato un grande leggitore, ma tutte le carte importanti vi stavano disposte in bell’ordine sopra due scansie portatili. Il resto dei mobili si componeva appena di uno scrittoio in noce e di un piccolo sofà ricoperto in crespo di lana verde. Nell’angolo, presso la finestra, quell’inverno medesimo vi aveva messo una stufa minuscola in ghisa, più che sufficiente a riscaldarvi l’aria sino ad una temperatura insopportabile.

— Che cosa faccio?

In sostanza non aveva bisogno che di guadagnar tempo per l’inevitabile colloquio colla moglie. Anche lì tutto era ordinato. Macchinalmente si trasse il pa-