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ghiaia, abbacinato dall’immenso fulgore di quell’incendio, che si precipitava contro di lui rugghiando.

I suoi occhi sostennero per un istante l’urto, non capiva, non sentiva; poi gli parve che il ventaglio di fiamme si sollevasse, si vide la macchina lanciata a volo sulla testa, come un’enorme arco di ponte che ardesse, un vento impetuoso gli sferzò il volto, mentre la terra squarciata da un ultimo sforzo si apriva sotto di lui.

— No, no! — ebbe appena il tempo di urlare, ritraendo disperatamente la testa, che la macchina gli era forse già a soli venti metri.

Un torrente nero; solido, alto: un soffio gelido ed irresistibile lo gettò quasi giù dalla ghiaia, sulla quale puntellava ancora le mani, raggricchiato nello sforzo istintivo di farsi più piccolo, senza potersi muovere, chiudendo gli occhi ad ogni vano fra vagone e vagone, come ad una scudisciata che gli fendesse a mezzo le pupille.

E il treno enorme, vertiginoso, freddo, nero non finiva.

All’ultimo vagone egli rotolò sul sentiero.

Quando si rialzò non vide più il treno.

Egli se ne andava lungo il sentiero, a testa bassa.

Una vergogna amara di quanto gli era accaduto aumentava sulla sua coscienza, come dopo la pioggia in certe pozzanghere cresce l’acqua. Si era gettato sotto il treno cedendo alla pressione di una forza interna che lo spingeva, e la sua ragione,