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tando quasi automaticamente il passo di quei tre; ma si fermarono di botto vedendoli arrestarsi.
Gli altri si voltarono; quindi proseguirono senza barattare alcuna altra osservazione.
— Vado a casa, — disse Romani prima di rientrare sotto il portico del caffè.
— Ci vediamo domattina sul mezzogiorno?
— Già.
— Buona notte!
— Buona notte!
Romani si diresse verso porta Appia passando lungo la fontana e il Duomo. Adesso era ridivenuto improvvisamente triste. La piccola città, sepolta nel sonno e nelle tenebre, aveva perduto ogni fisonomia; i fanali scarsi, a petrolio, indicavano appena il vano della strada, nella quale le casette irregolari s’addossavano l’una all’altra in silenzio, colle porte e le finestre buie, senza colori, come in una tranquillità di abbandono. Era una città di circa quindicimila abitanti, compresovi il grosso borgo al di là del fiume, abbastanza ricca, antica e rimasta vecchia anche nel rinnovamento moderno, che guasta dove non muta, e muta quasi da per tutto.
Egli rifaceva quella strada a testa bassa, senza guardare, anticipando i passi col pensiero e ripetendosi meccanicamente: adesso arrivo alla bottega del barbiere, poi all’angolo del palazzo Bandi, al pizzicagnolo... tutte le stazioni più importanti di quella strada, che percorreva da tanti anni, e nella quale era persino nato. La conosceva nei più minuti particolari, tutta; la sua casa vi stava in fondo, una casetta a due piani, con un cornicione di legno ai tetti, le persiane verdi, una porta stretta, alta sul marciapiede due scalini, un andito, una scaletta