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l’altro soggiunse a bassa voce, girando intorno un’occhiata di disprezzo.
Si era seduto famigliarmente sopra uno sgabello accanto a lui.
— Questa sera la sua partita è andata a monte. Ha letto la nuova appendice del Secolo? — e si allungò per prendere dal banco un fascio di giornali: — a me pare bella assai.
Romani rimaneva distratto.
— Ecco Montalti! — esclamò il padrone, vedendo entrare quello scrivano storpio, che venne diritto al loro tavolo; poi capitò Cavina, il muratore wagneriano; Rotoli, il vecchio maestro chiacchierino, che aveva finito la partita nell’altra sala, si fermò anch’esso dinanzi a loro.
Era quasi la stessa conversazione di tutte le altre sere.
Il padrone ricominciò il discorso sul nuovo romanzo del Secolo — Idillio tragico — di Bourget, spiegando come gli paresse bello, perchè Montecarlo vi era dipinto colla massima esattezza. Egli vi era stato, da giovane, nelle proprie peregrinazioni di cameriere. Ma lo scrivano, socialista malcontento, protestò: quello era un romanzo aristocratico, buono a nulla, giacchè gli scrittori di vero ingegno non potevano occuparsi che delle miserie popolari.
— Ho letto anch’io qualche appendice di questo nuovo romanzo del Bourget, — e pronunziò il nome come era scritto.
Allora Cavina lo corresse, corsero frizzi.
— Tu sei un wagneriano.
— E me ne vanto.
— Wagner era socialista.
— Va! se daranno il Lohengrin in carnevale, ve-