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cosmopolita, di tutti i costumi, di tutti i gradi, di tutte le fortune. L’autore dipingeva finamente e rapidamente; egli ebbe la sensazione di quell’ambiente, nel quale la gente andava per tentare di non morire, ottenendo da una vincita la guarigione della propria vita anemica di oro, di fede, di speranza, di amore, perchè presso alla morte tutto si fa pallido. E in quella folla, nella quale l’egoismo delle disperazioni non permette lo scambio di alcun sentimento, e fra quelle le pupille chine e vacillanti sui tavoli nello stesso sogno di riscatto; fra quel silenzio, che neppure il delirio della salvezza improvvisa o la sùbita rivelazione della morte arrivano a turbare; in mezzo a quella moltitudine famelica di ozio e di ricchezza, dentro il profumo dei fiori, l’incendio dei lampadari, la pompa abbacinante di un lusso divoratore, Bourget aveva messo due incantevoli figure di donne, sorridenti in un dialogo di amore.
Egli ne lesse le prime battute affascinato, arrestandosi in fondo all’appendice, quasi colla stessa sensazione che se si fosse urtato in un muro.
A Montecarlo il suicida tenta di forzare ancora una volta la fortuna; può bastare un solo scudo per ritornare felice e trionfante alla vita. Quanti vi avevano vinto la posta della propria esistenza! Quanti altri l’avevano perduta! Erano più i primi o i secondi? Quanti suicidii si compiono all’anno in Italia, in Europa? Egli non lo sapeva, ma se qualcuno gliene avesse detto la cifra enorme, gli sarebbe parsa esagerata: nullameno ebbe come una vaga visione di questi volontari della morte, strano esercito senza generale e senza disciplina, che tutti gli anni si esauriva sino all’ultimo soldato, e si rinnovava tutti gli anni inutilmente. Ogni suicida credeva di agire