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lazioni mefitiche. Nella casa non si cucinava più, la vecchia sorella era sempre in giro dai vicini per accattare qualche soccorso al morente, diventato in quella lunga insonnia prodottagli dal vizio cardiaco di una asprezza ancora più insofferente. Talvolta nelle crisi più acute di collera contro il vescovo e gli altri colleghi di chiesa, che lo lasciavano morire così, pareva che perfino la sua fede vacillasse.

— Dio non è sempre giusto! — gli era sfuggito una sera vedendo ritornare la sorella senza la minestra, che una vicina le aveva promesso.

Queste sinistre parole agghiacciarono l’anima di Giannino: se avesse avuto del danaro, lo avrebbe dato nascostamente alla vecchia sorella, come aveva fatto l’ultima domenica col franco della grande messa cantata in duomo dal vescovo, ma quella sera non aveva un soldo in tasca: anzi si sentiva lui stesso ammalato. Frequenti vertigini lo coglievano da qualche tempo, anche passeggiando; il cuore gli batteva convulsamente nel fare le scale, non poteva dormire, e peggio ancora quel pane di tutti i giorni non gli riusciva spesso di mandarlo giù. Siccome dall’anno scorso si era allungato, sembrava anche più magro.

Quindi si alzò per andarsene.

— Anche tu mi lasci...

— Alle nove chiudono il portone e io non ho la chiave.

— Hai ragione: prendilo, prendilo — soggiunse con nuova amarezza vedendolo sbirciare sul comodino un libro.

Erano le Sette giornate di Galileo.

— Un’altra vittima — brontolò — del clero e non della chiesa. Come è ben vendicato oggi! Il