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l’adorabile confidenza della sua età la pregò di tenerlo a dozzena. Ella ricusò per non aver responsabilità, quindi finì coll’accordargli che avrebbero mangiato insieme quei giorni che essa accenderebbe il fornello: negli altri ognuno restava libero di uscirne come poteva.

E così il «vescovo» cominciò la carriera ecclesiastica. L’altro vescovo vero della città, ricco ed avaro, niente impietosito del caso, gli concesse appena la esenzione dalle tasse di scuola, ammonendolo severamente che in quella vita fuori del seminario, fra i pericoli del mondo, avrebbe dovuto vigilare doppiamente sopra sè stesso. Il ragazzo pieno di timore dinanzi a quell’alta autorità, che un viso burbero, butterato dal vaiuolo, rendeva in tale momento anche più terribile, non sentì nemmeno il ridicolo di simili ammonizioni contro i piaceri mondani, dai quali i dieci franchi al mese lo garantivano anche troppo bene.

Al primo esame d’ammissione i professori gli furono benevoli, invece entrando nella classe gli piovvero addosso dileggi da tutti i banchi. Naturalmente i seminaristi esterni, (si chiamavano così quelli che praticavano solamente le scuole) erano i più poveri: nel seminario affollato di centocinquanta allievi, una categoria, quella dei ricchi, che pagavano intera la dozzena, vestiva di rosso, un rosso splendido, abbacinante; l’altra, di coloro a mezza dozzena, portava la veste nera con una larga fascia rossa a nodo sulla cintura: i paria del di fuori vestivano da prete come potevano. Spessissimo il nero dei loro abiti diventava rameo, ferrigno, gialliccio: tutta la gamma delle slavature vi si mostrava al sole, i cappelli di felpa lasciavano dalle cuciture passare il cartone, i mantelli nascondevano male i propri buchi fra le pieghe, mentre le scar-