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difficili, ne diede dieci a Giannino, che andava a farsi prete, e serbò le altre trentacinque per il resto. La miseria diventava presso a poco eguale da ambo le parti.

Con quei dieci franchi al mese Giannino doveva campare da novembre a luglio pensando ai libri, alla carta, alle penne, al lume, a tutto: un grasso, grosso e ricco prete del paese, ora morto, che possedeva nella città una bella casa, gli concesse gratis un piccolo granaio; nella stessa casa abitava una vecchia, povera, sorella del prete. Fu dunque mandato giù per un carrettiere un letticciuolo, un tavolinetto, quattro lenzuoli, due salviette, una coperta e null’altro; Giannino calò tre giorni dopo con un fagotto, nel quale aveva messo i libri e pochi cenci di biancheria, ma l’arciprete ammirato dal suo coraggio gli aveva regalato un vecchio mantello, perchè se ne servisse contro il freddo nell’inverno.

Il futuro «vescovo» penetrò nella città a piedi, poco stanco malgrado le venti miglia fatte, perchè la giornata era bella; un magnifico sole stendeva le sue ultime dorature su tutta la campagna, e le passere svolazzavano monellescamente lungo le siepi. Avrebbe potuto salire gratuitamente in quel lungo tratto di strada su qualche biroccia scarica, ma la dignità della veste ecclesiastica e un giovanile orgoglio del primo viaggio glielo vietarono. Andò difilato alla casa circa nel mezzo del Corso, pel quale era entrato, e si presentò alla vecchia. Questa viveva all’ultimo piano in due camerette nude e gelide, appunto sotto il piccolo granaio, nel quale aveva essa medesima disposto il letto per lui. Era curva, mal vestita, con pochi denti in bocca e due occhietti grigi di falco sotto la fronte rugosa. Si era ridotta così per alcune scappate di gioventù, che