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le si accostò per di dietro colle labbra tese per deporle un bacio sulla spalla sinistra.

La sua testa spuntò dallo sfondo lucente del cristallo, altrettanto bella, forse più pallida nell’abito nero e sopra quella camicia bianca come la porcellana, mentre ella si aggiustava un riccio sotto il diadema; ma Lelio nel piegarsi per darle il bacio traballò improvvisamente incespicando nell’abito, così che per balzare indietro ne sfondò con un piede la campana dei merletti.

Lo stridore della seta lacerandosi anch’essa per oltre la metà della loro altezza fece voltare la principessa, che urtò quasi colla testa in quella di Lelio; era diventata verde come i propri occhi, cogli occhi sfolgoranti.

— Villano! — gridò raccogliendo nella mano la strappatura.

Lelio attese che rialzasse il capo; i suoi sguardi si urtarono allora in quelli della principessa umidi di lagrime.

— Avete perduto la scommessa.

Nell’ira di quel dolore ella non comprese nemmeno.

— Clelia! — esclamò.

— Eppure ve lo aveva detto che non avrei mai avuto per voi il valore di un abito! — soggiunse Lelio tristamente.

Ma l’altra l’interruppe con un gesto di disprezzo così violento che l’altro dovette indietreggiare; ella rimaneva sempre così piegata colla strappatura fra le mani.

Allora Lelio, che nell’iracondo pentimento di quella vittoria stava per rispondere una ingiuria grossolana, le si inchinò freddamente e, prima ancora che la cameriera accorresse, uscì dal gabinetto.

Fuori la neve seguitava a cadere.