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Nullameno passarono ancora alcuni giorni, poi la rivide ad un concerto, e la sera medesima sedendole accanto nel palchetto ella si mise a premergli un piede.
La mutevole creatura rideva pazzamente di un ufficiale, il più brutto del reggimento, che le faceva dalla barcaccia una corte troppo palese.
— Giulio, lo vedi? — si volse al marito.
— Oh! sono tranquillo sul conto suo.
Infatti il principe doveva andare a Roma l’indomani per restarvi una settimana.
— Bada, è troppo bello.
La volgarità di questi scherzi ripugnava a Lelio, che ritirò il piede sotto il divano: ella bruscamente si volse a guardare altrove, ma l’indomani si videro per strada. Egli l’accompagnò un tratto.
— Venite alla festa della canonichessa?
— Non sono invitato.
Ella ne fece le meraviglie.
— Ah! non siete wagneriano.
— Voi andrete certamente.
— Sì, da sola... Sono sola sola in casa.
Il suo sorriso aveva la solita lubricità, poi si passò rapidamente la punta della lingua sulle labbra.
— Invitatemi a pranzo — l’altro proruppe.
— Perchè sono sola? Egli capì tosto che acconsentiva.
— Trovate un pretesto.
— Se non è che questo! Siccome è la prima festa della canonichessa, e vi sarà tutta Bologna, avrete certamente un abito nuovo per eclissare tutte le signore. Verrò a vederlo.
Ma si pentì subito dopo di averlo trovato sentendo come fosse volgare.