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Lelio ebbe la debolezza di arrossire.

— No — rispose alteramente.

— Ma dunque, signor Fornari, lei non sa montare? — intervenne la principessa.

— Una cosa che sanno fare anche i marinai.

— Lo sapessi pure, non monterei che un cavallo mio.

— Siete così puritano in fatto di bestie? Tutti sorrisero. Egli le serbò rancore, ma per quanto si fosse giurato di non entrare più in quel salone, vi andò la sera stessa del ritorno dalla caccia; ella sfolgorante di brio e di felicità parve non accorgersi di lui. Lelio invece non l’aveva mai veduta così tentatrice: cercò di affettare l’indifferenza, ma il suo orgoglio soffriva troppo di non potersene nemmeno andare senza una specie di abdicazione, perchè vi riuscisse. Quella sera il principe Giulio, cacciatore solamente da uccelli, quindi un po’ trascurato fra tutti quei racconti di galoppi e di salti, gli venne incontro.

La loro conversazione durò troppo: la canonichessa ne fece l’osservazione in francese come della più bizzarra avventura nel carnevale, l’amante che perdendo la moglie si metteva per consolazione a corteggiare il marito, e Lelio l’apprese poco dopo dal conte Turolla.

In quel momento il principino scherzava colla principessa Irma. La canonichessa gelosa impallidì: allora Lelio, che le si era già avvicinato per pungerla con qualche motto crudele, colto da un senso improvviso di pietà verso quella brutta donna, colpita come lui al cuore da una stessa ingiustizia, uscì dal salone.

Questa volta era ben deciso a ritornare in campagna, subito, per riguadagnarvi, lavorando, il tempo perduto.