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lunga veste da camera di un giallo spento sembrava quasi bagnata, tanto le si modellava sul corpo.

— Non ti basta una donna come me? — le sfuggì in un impeto d’orgoglio.

— Forse perchè sei principessa?

— Fors’anche.

Lelio s’alzò per andarsene, ma ella non lo credette. Infatti tardava a trovare il cappello ed i guanti: ella lo seguiva cogli occhi dilatati, si era rapidamente con una mano ravviati i capelli, mentre un piedino le spenzolava entro la calza rosea dal divano, lasciando vedere sino a mezzo la gamba.

Lelio salutò sull’uscio. Ella attese ancora qualche secondo, poi gli corse dietro, lo raggiunse al secondo salone; egli si voltò al fruscio delle sottane e si sentì già avvinghiato per le spalle.

— Torna subito indietro.

Quando si furono daccapo seduti sul divano, ella tacque: voleva che parlasse lui per il primo.

— Che cosa vuoi? — le disse finalmente.

— Mi ami?

— Io sì — rispose colla solita menzogna degli uomini.

— La vuoi sapere la verità? Se qualcuno ama fra noi due, sono io.

— Chi amate dunque, principessa?

— Uno scemo che me lo domanda.

E saltandogli sulle ginocchia lo morse ad una guancia.

— Lo voglio, sai, lo voglio: sono io che ti violento. Credi che sia un privilegio degli uomini? E lo aveva rovesciato sotto un’onda di risa cristalline sul divano, facendogli il solletico un po’ dappertutto, così che rimaneva quasi coperto interamente dalla sua veste gialla; quindi prendendolo