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bassa poltrona trapunta la lasciava fare; tutto il suo spirito era teso nell’analizzarla; ella ne provava una pena strana, che non avrebbe saputo nemmeno accennare colle parole, qualche cosa di aspro e di freddo come gli accusati debbono risentirne nel primo interrogatorio.
Andò a rannicchiarsi nell’angolo del divano, ma quantunque paresse mesta il suo atteggiamento era di una lubricità pruriginosa.
Allora Lelio venne a sedersi sulla spalliera alla quale essa poggiava la testa.
— Dunque mi ami...
— No, poichè questo ti fa anche più piacere, tristo violatore di donne, che non sai nemmeno fartelo perdonare colla sincerità della violenza. Perchè mi hai tu presa?
— Perchè mi tentavi tu?
— Ti amavo.
— Avresti amato di vedermi soffrire indarno?
— Non soffro io adesso indarno? Tu non mi ami, lo so, quindi sono io che mi degrado cedendoti, ma tu rimani più basso di me. Che cosa ti avevo io fatto, cattivo soggetto? Eri bello, venni da te al veglione; e poi mi avevano tanto detto che eri un grande ingegno, uno spirito satanico... Noi non conosciamo generalmente che degli sciocchi, quelli che riempiono i nostri saloni. Tu mi dicesti quanto nessuno aveva mai osato, io quella notte non dormii. Avevo paura di darti ragione: era proprio così? Come lo sapevi tu? Era un mistero; allora volli fuggire.
Sei tu — continuò violentemente — che hai voluto tutto, e mi tratti così.
Pronunciando queste ultime parole era diventata pallida, cogli occhi verdi socchiusi. Una seduzione morbosa esalava da tutto il suo corpo impregnato di un triste odore di sandalo, mentre la sua