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un’ira fredda di analisi, cercava minutamente, quasi maliziosamente, tutti i suoi difetti, decomponeva le sue sensazioni, disseccava tutti i suoi sentimenti. L’amore non era lì, in quella fragilità di corpo e di spirito, che l’uomo era sempre sicuro di spezzare al primo contatto; ma non era nemmeno altrove, o non sapeva trovarlo.

Come per molti scrittori della nuova scuola naturalista, la crudità del suo pessimismo era un’angosciosa reazione contro l’inafferrabile divinità della vita, che le cose e le anime sembravano piuttosto nascondere che rivelare.

Quindi tutta la malìa seduttrice della principessa non poteva trionfare della sua diffidenza. Lelio sapeva o credeva di sapere il nome di molti altri suoi amanti, ai quali naturalmente ella doveva aver prodigate le medesime scene. Se talora vinto dalle sue carezze si diceva che nessuno aveva forse saputo accendere in lei tanto ardore, poco dopo la coscienza di quella troppo facile promiscuità col marito e cogli altri lo riagghiacciava. Ella ne restava impermalita.

Una volta, ed era il terzo appuntamento sempre nel suo magnifico salottino lilla, ella glielo chiese:

— Tu non mi credi.

— Di che fede vuoi tu parlare? — e il suo accento era duro.

— Eppure devi sentirlo che ti amo — ripetè strisciandogli con una palma così lievemente sulla faccia che al buio egli avrebbe potuto prenderla per una piuma di ventaglio.

— Tu sei geloso.

— Di tuo marito?

L’altra s’imbarazzò, non voleva accusarsi da sè stessa.

Ma Lelio sdraiato indolentemente sopra una