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lungi cantarellare voci fresche sui gelsi che i ragazzi sfogliavano per i bachi, e una pace dolce, voluttuosa, veniva da tutta quella campagna in fiore, colle grandi erbe ondeggianti e i grani, che si doravano lentamente alle prime intensità del sole.
Lelio era caduto in una contemplazione di artista accanto alla principessa, coll’occhio vagante sulla vallata; improvvisamente si sentì addosso il suo sguardo.
Si levò, anch’ella fece altrettanto; il principe discorreva tranquillamente di agricoltura colla balia e colla contessa, ma vedendoli alzarsi, tutti domandarono ad una voce:
— Dove si va?
— Bisogna pur muoversi.
— Con questo sole! — esclamò la contessa, cui l’aria aperta metteva una bianchezza più fulgida sulle carni.
— Appunto nel sole. Ah! contessa, non vi diventereste più bella perchè è impossibile, ma vi mutereste per qualche giorno di bellezza.
— Sì, davvero! A Rimini nel tempo dei bagni divento di un bruno orribile.
— Confessate però che nessun uomo ve lo ha ancora detto.
Anche la contessa, il principe e la balia si erano levati; entrarono tutti nell’aia cacciandosi nella poca ombra fra il calesse e i fienili. Il sole era ardente, la balia propose di salire nelle stanze superiori a vedere i bachi, e infatti ogni tanto si scorgeva dalla finestra il busto rosso della ragazza che li mutava di stuoia.
— Ah! sei tu... — esclamò Lelio, che aveva girato il pagliaio, scorgendo il cane accosciato con un osso fra le zampe.
Il cane agitò la coda come ad un saluto, ma si